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Notti magiche

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Notti magiche

di M Valdemar
7 stelle

 

locandina

Notti magiche (2018): locandina




Bela Lugosi's dead. Undead undead undead ...

Le lugubri note dei Bauhaus che cullano dolcemente in tutta la loro immortale iconicità le ultime inquadrature fino ai titoli di coda, evocano e simboleggiano il chiaro epitaffio che Paolo Virzì incide sulla lapide del cinema italiano.
[Italian cinema's dead. Undead undead undead...]
Un'iscrizione decisa e robusta, ragionata (anche sul proprio vissuto, ça va sans dire), che lungo i precisi solchi, altresì arricchiti di particolari, motivi ed elementi storico-aneddotici, che narrano l'esistenza e le qualità del sepolto, sanno lucidamente rappresentare un mondo.
Apparentemente fissato tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, agli ultimi bagliori della Prima Repubblica. Lo spunto, invero superfluo, è l'edizione degli ultimi Mondiali giocati in casa, che scorrono paralleli alle vicende raccontate nel film, unitamente alla omonima, celeberrima, tristemente illusoria hit di Gianna Nannini; e alla maledettissima semifinale persa con l'Argentina: il rigore segnato da Maradona, quello sbagliato da Serena … E un'auto che cade nel fiume, un noto produttore di commediacce trovato senza vita.
Dalla caserma dei Carabinieri il più classico degli espedienti narrativi cinematografici: il flashback. Ancora, Virzì usa tutti gli strumenti e gli ingegni (arche)tipici della settima Arte per cantarne le gesta (e non le lodi): le cose, semplicemente, accadono, le situazioni si generano dal caos, gli incontri sono intagli improvvisi, ramificati in molteplici direzioni impreviste e che a loro volta creano altri flussi magmatici che si intersecano con altri e altri ancora in un maelstrom grottesco di esistenze e personalità.
Insomma, il mondo-cinema (e fiction, serie b, televisione, spettacolo) col suo carico di figure e figurine e figuranti, mestieranti e intellettuali, manovalanza oscura e proletariato sfruttato, “negri” e negrieri, comparse e signorotti, morti viventi e morti di fama, rituali e feticci. Lo spessore dei solchi che lo illustrano è tale da rendere credibile ogni segno e sfumatura: «sì, era proprio così», annuirà con convinzione lo spettatore-spettatore (che ha potuto “vedere” solo di riflesso).

Mauro Lamantia, Irene Vetere, Giovanni Toscano

Notti magiche (2018): Mauro Lamantia, Irene Vetere, Giovanni Toscano

Mauro Lamantia, Roberto Herlitzka

Notti magiche (2018): Mauro Lamantia, Roberto Herlitzka

Il lavoro di cesello agisce con particolare rilevanza e riuscita nel tratteggiare abilmente i personaggi: dai tre giovani sceneggiatori – che oltrepassano la dimensione stereotipico-macchiettisitica per giungere in un limbo tragicomico e kafkiano e cialtronesco in cui tutto è (stato) possibile – (e ben interpretati: menzione speciale per la bellezza preraffaellita di Irene Vetere; sperando possa/sappia uscire dal registro di scontrosa/ansiosa/snob già vista pure nell'orribile Arrivano i prof), a ogni altra entità che appare nel cimitero di stelle di casa nostra. Impagabili, tra gli altri, il navigatissimo sceneggiatore spara-sentenze (e improperi) interpretato da Roberto Herlitzka («volete fare gli sceneggiatori ma non sapete fare gli spettatori»), o il tizio con manie di suicidio che s'imbuca a cene ed eventi e che sciorina la lista dei suoi “amici” del jet set, elencandoli instancabilmente per nome: compare dal nulla come l'uomo che cerca la signora Jones in Hellzapoppin.
Il 'maestro dell'incomunicabilità' che «sta conversando», l'attore/stuntman elegante come Eddie “il bello” de Le Iene che fa l'autista/tuttofare, Mastroianni seduto al buio in una stanza che piange per amore, Fellini visto da lontano, le “idee” di casting (Mickey Rourke per fare Caravaggio … d'altronde, ha fatto San Francesco), gli script stravolti, le soubrettine svampite, le aggressioni sessuali sul set, il testo dello scemo del gruppo in realtà profondo nonché autobiografico (splendido il bianco e nero del flashback che evoca il padre operaio): il vorace, sfrenato, prezioso cóte citazionista (i riferimenti si sprecano, alcuni palesi altri più subdoli) arma come vermi della putrefazione un agitato, squisito cortocircuito inevitabilmente “meta” ma anche (attinente al) reale.
Di prima e di ora.
Sì, perché Notti magiche – al netto di alcuni evidenti limiti (il ritmo cala verso tre quarti, qualche lungaggine di troppo, il finale evitabile alla “come sono oggi”, qualche cliché di troppo, il lato poliziesco trascurato), che comunque non inficiano troppo il risultato complessivo –, riesumato in forma di esercizio esorcizzante, attraverso lo spettro contenutistico-formale della storia di amicizia, parla di allora, di quelle giornate e notti vissute intensamente, per raccontare anche di ora.

Di come il cinema italiano sia ancora decaduto e deceduto. Morto e non-morto. Intrappolato perennemente in uno stato tombale di esiziale nostalgismo ed esistenziale precarietà.
E sono (siamo) stati tutti.





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