Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
“L’udienza” da un punto di vista filmico appare datato (montaggio e ritmo lento) ma quale rappresentazione del tema sacro e profano è ancora efficace. Il sacro è il Vaticano e il suo Papa (infallibile per dogma), fuori da quel perimetro c’è il profano (che infatti significa ciò che è fuori dal recinto del sacro). Amedeo (ovvero colui che ama Dio) è un ex ufficiale dell’esercito in congedo, un credente che vuole avere un colloquio con il santo padre (al tempo Paolo VI), per rivelargli un segreto? O semplicemente per confessarsi da buon cristiano? Non lo sapremo mai e non ha importanza.
Grazie ad un espediente del regista Marco Ferreri, autore del soggetto con Rafael Azcona e la sceneggiatura con Dante Matelli: due anime differenti, il primo fuori dal tempo fautore del grottesco, il secondo dentro quel tempo (gli anni della contestazione). L’espediente, si diceva, è l’utilizzo di riprese dal vero del Papa che saluta dalla “papamobile” i fedeli fuori dal cordone di piazza San Pietro. E il protagonista (un Enzo Jannacci perfetto) chiama, urla “papa” per attirare la sua attenzione e lo farà anche quando da un terrazzo con un binocolo vedrà la figura sfocata del pontefice passeggiare per i giardini vaticani. Amedeo è un orfano e vede nella figura papesca il padre che non ha più accanto o forse non ha mai sconosciuto. Il padre religioso per ogni credente. Fuori dal recinto sacro ci sono degli elementi profani che lo controllano, lo allontanano dall’intento di chiedere udienza. Il primo è il funzionario Aureliano Diaz (un perfido Ugo Tognazzi), un poliziotto, un burocrate che lo tormenterà tanto quanto l’ossessione di Amedeo per il Papa. Aiche (una sexy Claudia Cardinale), la prostituta dal cuore d’oro protetta da Diaz e Donati, è l’elemento sensuale, la mela proibita, la tentazione, il peccato. Il principe Donati (Vittorio Gassman moderatamente istrione), appartenente a quella nobiltà nera che bazzica intorno alla Chiesa, agli alti prelati che in essa si nutre e che sorregge letteralmente il Papa nella sedia gestatoria; nella sua fedeltà cieca, infida è pronto a fare il crociato. Monsignor Amerin (Michel Piccoli bravissimo e falsamente accomodante) sembra essere un tramite tra le varie gerarchie. Il teologo gesuita francese (Alain Cuny metafisico) è l’unico che raccoglie la confessione di Amedeo e invita a rispettarlo, ma il suo invito muore lì e si perderà nella sacralità inviolabile della Chiesa, nei meandri custoditi da Amerin e dalle altre comparse nel dramma personale del protagonista. Egli trova consolazione non nella carne di Aiche ma nella voce riprodotta da un giradischi del Papa buono. Il Papa del Concilio Vaticano II, della distensione tra capitalismo e comunismo, del primato della comunità dei vescovi sul Papa. Amedeo, tra gli effetti personali sequestrati da Diaz, ha un filmino con Papa Roncalli in transito tra i fedeli. E difatti la figura misteriosa di Giovanni, il mite meccanico di biciclette del convento-prigione, rassomiglia a Giovanni XXIII e nel placare Amedeo rappresenta un sovversivo che costruisce plastici raffiguranti la chiesa distrutta dalla fede, una Pietà decapitata (un Cattelan ante litteram). C’è un anello di congiunzione politica in questi passaggi ferreriani. Proprio il convento, luogo in cui viene “amichevolmente” condotto l’ex ufficiale, dopo l’ennesimo tentativo di inviare un messaggio al Papa in carica (scambiato per un attentato), è un coacervo di preti adoratori del teologo della liberazione Torres o cultori di Mao. Le strade di Roma, fuori dal perimetro vaticano, sono presidiate da camionette, polizia e auto in fiamme (chiara metafora dell’epoca).
Ferreri, da buon autore caustico e provocatore, unisce riferimenti politici ben precisi all’attualità (Matelli) e l’assurdo kafkiano (Azcona) della vicenda. Contestualizzato al periodo contrappone due politiche, due papati differenti: l’umanità, la paternità ricercata da Amedeo che non è quella data dall’incontro e innamoramento con Aiche, bensì dalla figura della guida cattolica per eccellenza, sempre il Papa. Non il distante e sfocato Montini, ma il pacioso e rassicurante Roncalli.
Amerin intima la pecorella smarrita che fuori dall’ordine (il sacro) c’è il caos. Extra ecclesia nulla salus? E’ presuntuoso voler cambiare un ordine, la Chiesa ha una tradizione potente e insostituibile. Alla fin fine “L’udienza” è anche un dramma degli equivoci. Tutti sono talmente concentrati e impegnati nell’allontanare Amedeo dal suo spontaneo desiderio di buon cristiano, si è detto, che non vogliono approfondire le sue ragioni di uomo Candido. Preferiscono inquadrarlo come matto, comunista, disturbato e alla fine della fiera Amerin lo intima di ripartire dalla classica raccomandazione del proprio parroco.
Ferreri chiude il cerchio ideologico - una volta morto il nostro caro Amedeo sotto i colonnati d’ingresso al vaticano - con il cittadino che bussa per chiedere un’udienza al Papa per non arrendersi, per sfidare sempre il potere: ingiusto e impenetrabile. Tutto ricomincia daccapo come il tema (“Tormentone dell’udienza”) musicato da Teo Usuelli con campane e organi suonati con forza e ripetitività ossessiva.
L'udienza (1971): Enzo Jannacci, Claudia Cardinale
L'udienza (1971): Enzo Jannacci, Ugo Tognazzi
L'udienza (1971): Vittorio Gassman
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta