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La babysitter

Regia di McG vedi scheda film

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La recensione su La babysitter

di scapigliato
9 stelle

Che cos’è The Babysitter? Potrebbe essere, e tecnicamente lo è, un teen horror slapstick comedy, ovvero un horror con e per i giovani che ovviamente piace agli adulti, con tematiche tipiche del racconto di formazione come il primo innamoramento, le fantasie erotiche, gli stimoli sessuali, le paure ancestrali, il bullismo, il passaggio all’adolescenza, etc., oltre ad essere anche divertente, ironico, sarcastico e parodico fondando tutta la sua comicità sull’elementarità del linguaggio corporale e di gag plastiche. È vero, è anche un film di McG, regista che certo non brilla per plausi critici. Ma molto probabilmente, oltre a tutto questo, The Babysitter è sostanzialmente un Netflix Original Movie che conferma come la piattaforma americana sia l’unica via di salvezza non solo per il cinema di genere lontano dagli stereotipi, dal politicamente corretto e dalle edulcorazioni e vincoli narrativi e visivi del mainstream, ma del racconto per immagini tutto, dai film alle serie tv ai cortometraggi. Netflix può avventurarsi in territori in cui il mainstream non oserebbe mai e ha sostituito in buona parte le factory che tra gli anni ’50 e gli ’80 sfornavano film che nulla avevano a che vedere con il canone imperante, come per esempio la factory di Roger Corman, o i film del New Horror dei ’70 o i grandi capolavori sia horror che comici degli ’80 da Animal House (John Landis, 1978), An American Werewolf in London (John Landis, 1981), Nightmare on Elm Street (Wes Craven, 1984), la saga di Porky’s (Bob Clark, 1981) fino a blockbuster storici come Big Trouble in Little China (John Carpenter, 1986) e le saghe di Indiana Jones e Rambo.

The Babysitter è un film così bizzarro, bislacco, originale, stravagante, strambo e innovativo che se non lo si vede non ci si crede. È un tuffo in un’atmosfera giocosa, colorata, spudorata, molto ottantesca e parodica nei territori tipici dello slasher dove ribalta una delle figure pop più tipicamente americane e icona di molti film horror, ovvero la babysitter, giocando su stereotipi e infrangendo le regole del patto narrativo. Ci troviamo di fronte a un film che pur prendendosi gioco di tanti cliché del genere, li utilizza proprio per amplificarne l’impatto visivo e narrativo. Inoltre, il protagonista è a tutti gli effetti il nuovo vero eroe di questi primi vent’anni del nuovo secolo: un dodicenne buffo e maldestro contro gli adoratori del male, belli, fighi e giovani che però non possono utilizzare queste caratteristiche estetiche, che in epoca contemporanea sono anche, ahinoi, categorie di giudizio critico, per contrastare la riscossa adolescenziale del buffo protagonista, Judah Lewis, al pari del Tye Sheridan di Scouts Guite to the Zombie Apocalypse (Christopher B. Landon, 2015).

I bersagli preferiti da regista e sceneggiatori, oltre che dal giovane protagonista, sono il bel quarterback, Robbie Amell, cugino di Stephen, dal fisico adonico – che vanta pure di avere le palle grosse, ma nessuno gli crede – e che a un certo punto del film e fino alla fine resta inspiegabilmente a petto nudo e riceve così gli sfottò del dodicenne pischello – “Ma che ci fai a petto nudo?”, domanda ripetuta più volte – e ovviamente la bellissima e disturbante babysitter interpretata da Samara Weaving che, se da un lato rappresenta la tipica icona sessuale della babysitter sessualmente attiva, dall’altra traspira un’ambiguità tale che si avverte fin dall’inizio della pellicola.

Forse, con un poco di pepe e di coraggio in più, il film sarebbe stato un manifesto di estetica e poetica teen horror al pari di successi recenti come Zombieland (Ruben Fleischer, 2009), Piranha 3D (Alexandre Aja, 2010) e Piranha 3DD (John Gulager, 2012) e Scouts Guite to the Zombie Apocalypse. Per non dire della saga di Wolf Creek (Greg McLean, 2005, 2013, 216).

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