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Domino

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Domino

di degoffro
6 stelle

C’è qualcosa da salvare nell’ultimo (?) maledetto e sfortunato film di Brian De Palma? Manipolato e mutilato da una produzione nefasta ed arrogante, disconosciuto e rinnegato dal suo stesso autore che non ha potuto togliere la firma probabilmente per ragioni di contratto, massacrato e sbeffeggiato con veemenza dalla critica, “Domino” purtroppo nel complesso è un film non all’altezza del suo autore. L’elemento che balza all’occhio, al di là di un montaggio un po’ improvvisato, di effetti arrangiati insieme alla bell’e meglio, di una fotografia non sempre curatissima, è una sceneggiatura delirante e scritta a casaccio, che a più riprese grida vendetta. Stupisce che De Palma si sia accostato al rigido, rozzo e manicheo copione di Petter Skavlan con tale leggerezza, ed è questo il principale rimprovero che gli si potrebbe muovere, perché la puzza di bruciato si sarebbe dovuta sentire lontano mille miglia. E’ vero che il regista di “Carlito’s way” già altre volte era riuscito a capitalizzare al meglio script non inappuntabili (“Snake eyes”) ed è altrettanto vero che il suo principale interesse è sempre stato l’aspetto visivo di una scena, ma forse nel caso di “Domino” ha sopravvalutato le sue capacità di rivitalizzare una storia già morta in partenza. Già perché il soggetto, sulla carta molto intrigante ed attuale, viene annichilito, ahimè, da sviluppi che hanno dell’incredibile tra voragini, forzature, coincidenze al limite del parossismo, caratteri monodimensionali, svolte melò alquanto improbabili e posticce che si fanno davvero fatica ad accettare (e la spassosissima battuta conclusiva “Siamo della CIA, leggiamo le vostre mail”, affidata a Guy Pearce, tra gli attori il migliore del gruppo, è sicuramente farina del sacco del regista che, con ogni probabilità, ha voluto ironizzare e prendersi gioco di una vicenda che per primo sa essere ridicola). Forse il desiderio e la tentazione di tornare dietro la macchina da presa sono stati talmente forti da pensare di andare oltre i limiti di una sceneggiatura debolissima con la potenza delle immagini. Che quando c’è, è innegabile e avvolgente (ecco cosa c’è da salvare), tanto da lasciare ancora al palo i più blasonati e scolastici registi d’azione che popolano oggi Hollywood, coperti da budget faraonici sperperati però senza criterio in messe in scena per lo più roboanti e cacofoniche, noiosamente e perennemente uguali l’una all’altra. L’incipit con l’inseguimento sui tetti ha una costruzione impeccabile della tensione, ma è soprattutto la lunga e magistrale sequenza del fallito attentato all’arena, in montaggio alternato, in un crescendo arrembante, a tratti immersa in un blu elettrico e saturo, a suscitare autentica meraviglia, candidandosi fin da ora ad essere uno dei momenti più irresistibili ed esaltanti dell’intero anno cinematografico (non a caso è stata girata ad inizio riprese, quando ancora c’erano i soldi e probabilmente l’entusiasmo era alle stelle): quasi 15 minuti senza dialoghi in cui la macchina da presa si muove sinuosa e magica, nell’ultima parte in slow-motion consapevolmente esasperato ma magnetico, sulle note di un sorprendente Bolero orchestrato con la consueta eleganza dal fidato Pino Donaggio. L’inconfondibile De Palma touch che può mandare in visibilio, non solo i fans. Peccato che i momenti in cui i due maestri sono liberi di esprimersi in tutta la loro impeccabile perizia tecnica siano pochissimi, perché in quelli “Domino” prende letteralmente il volo e fa rimpiangere quello che avrebbe potuto essere e che purtroppo non è, affossato da dialoghi penosi e colpi di scena patetici. Lo sguardo di De Palma che, con un’ostinazione ai limite dell’ossessione, persino commovente, ed una coerenza cristallina, torna a ragionare sui temi a lui più cari, sa ancora essere lucido, come nella tanto criticata e volutamente sgradevole sequenza dell’attentato sul red carpet di un festival (“De Palma è al tempo stesso disgustato e affascinato da questa forma di comunicazione basata sull’esibizione dell’orrore, è come traumatizzato. (…)Non nega l’attrazione che l’orrore e il dolore esercitano sul nostro sguardo.” – Gianni Canova). Il resto purtroppo è talmente di seconda mano, sbrigativo, rozzo ed improvvisato che nemmeno la mano di De Palma riesce nel miracolo. Può sembrare un paradosso, ma in un cinema sempre più magniloquente, esagerato e pomposo, pare non esserci più spazio per il buon vecchio Brian che comunque, anche in un film innegabilmente minore e a suo modo assai deludente come “Domino”, conferma che, se messo in condizione, riesce ancora ad essere una bella spanna avanti a tutti. Il problema è che forse a lui non interessa più (nulla) di questo cinema o più semplicemente forse siamo noi che non ci meritiamo più il suo cinema.

Voto: 6

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