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Bugie rosse

Regia di Pierfrancesco Campanella vedi scheda film

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La recensione su Bugie rosse

di spopola
2 stelle

Girato a Bologna, con tutte - e soltanto - automobili targate Torino (e anche questo da solo potrebbe essere un elemento che fa seriamente riflettere ), è in assoluto uno dei peggiori film che mi sia capitato di incontrare nella mia ormai lunghissima frequentazione cinematografica: una storia che non sta in piedi nemmeno a puntellarla, un regista a cui manca completamente il senso del pudore (inteso come vergogna) incapace persino di “osservare”, degli attori che definire da “filodrammatica” è fare loro un complimento (la palma della “cagneria” spetta a Gioia Maria Scola, ma anche gli altri, compresa una irriconoscibile Natasha Hovey, la tallonano davvero da vicino per insidiarle questo tutt’altro che invidiabile primato… e cosa ci stia a fare in mezzo a loro Alida Valli è davvero un mistero, probabilmente aveva semplicemente bisogno di fare cassa per problemi di carattere alimentare), riprese e montaggio “dilettantesco”, sceneggiatura inesistente, sono gli elementi  che contribuiscono, insieme alla sciatta fotografia che non riesce a mettere al suo attivo nemmeno una inquadratura decente, a definire un disastro annunciato e largamente prevedibile.
Ho finito: il quadro è questo, davvero inappellabile, e non ci sono attenuanti né giustificazioni per aver sprecato dei soldi in una porcata (scusatemi per il termine, ma quando ci va, ci vuole) di siffatte dimensioni.
Il “tentativo” , su un improbabile plot giallo, è quello di essere “trasgressivi” (ma nemmeno in questo il regista è sufficientemente spudorato da mostrare "ciò" che si cela sotto le freqeuntemente inquadrate "mutamde rosse" di Lorenzo Flaherty): Mario, un giornalista televisivo,  sta conducendo un’inchiesta sugli ambienti omosessuali della sua città, con particolare riferimento a quelli delal proswtituzione maschile. Nel momento in cui si verificano degli omicidi dentro quel particolare mondo “deviato” - l’assioma è sempre quello canonico che attribuisce il male, la “perversione”, persino l’assassinio, alla diversità, ed è davvero abbastanza sconfortante, non solo per il fascismo strisciante che aleggia dietro a questo concetto imperante, ma anche per come viene qui trattato il problema – il giornalista che si è fatto troppo coinvolgere, e in parte  “contaminare” dai personaggi “ambigui” con i quali è entrato in contatto, rischierà seriamente, nonostante l’aiuto di un giudice suo amico, di vedersi appioppare la colpa per dei “reati” che non ha commesso, anche se poi alla fine come è facilmente prevedibile, sotto il profilo giudiziario, tutto si risolverà positivamente e il risultato è solo uno sgangherato pasticcio senza capo né coda dal quale è opportuno restare lontani  che, detto in parole povere, si può riassumere "semplicizzando",  nella storia di un uomo - regolarmente sposato e apparentemente  assolutamente "etero" anche per i suoi trascorsi -  che a un certo punto della sua vita scopre invece (e ti pareva?) che gli uomini lo attraggono più delle donne. Sconfortante (il film, non la tematica dell'attrazione omosessuale).

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