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Che fine ha fatto Baby Jane?

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Che fine ha fatto Baby Jane?

di rocky85
9 stelle

“La ricchezza non fa la felicità. Figuriamoci la miseria..."

 

1917. Bionde trecce e faccino simpatico, Baby Jane Hudson è una piccola Shirley Temple che si esibisce ballando e cantando nei teatri, una divetta capricciosa e insolente nei confronti di tutti, e specialmente della sorella Blanche. 1935. I ruoli si sono invertiti: Blanche (Joan Crawford) è diventata una stella del cinema, ed in virtù della sua influenza riesce a procurare ruoli anche alla sorella Jane (Bette Davis), attricetta incapace ed odiata dai produttori. Finchè un incidente compromette drammaticamente il loro rapporto: Jane, ubriaca, investe Blanche davanti al cancello della loro villa, paralizzandola dal bacino in giù ed interrompendo per sempre la sua carriera.

Dopo un incipit geniale, partono i titoli di testa. Oggi le due anziane sorelle vivono insieme nella loro vecchia villa di famiglia, sole ed isolate da tutti. Jane accudisce Blanche, ridotta su una sedia a rotelle, segregata nella propria camera ed impossibilitata ad avere rapporti col mondo esterno. I vecchi rancori non sono mai stati sopiti, e Jane nutre ancora un odio profondo ed una gelosia nei confronti della sorella. Tutto ciò aumenta quando Jane, sempre più paranoica, scopre che Blanche ha deciso di vendere la casa di famiglia. Ha inizio così una serie di crudeli torture, destinata a concludersi tragicamente.

Nel 1962 Robert Aldrich è reduce da un lungo esilio forzato: dopo l’insuccesso del magnifico Prima linea ed il licenziamento sul set del film La giungla della settima strada, Aldrich si era rifugiato nel cinema europeo (tra Inghilterra e Italia) e nelle produzioni televisive, tornando a dirigere negli Stati Uniti soltanto nel 1961 con L’occhio caldo del cielo, western bellissimo ed ingiustamente massacrato dai critici. Che fine ha fatto Baby Jane?, che il regista produce e dirige adattando, su sceneggiatura del fedele Lukas Heller, un romanzo di Henry Farrell, è per lui l’occasione del rilancio. Aldrich affida i due ruoli principali a due delle più grandi dive del cinema americano degli anni Trenta, Bette Davis e Joan Crawford. Ad Hollywood è noto a tutti il rapporto di antipatia tra le due attrici, ma è proprio per questo motivo che Aldrich le sceglie: per ricreare realisticamente sul set l’odio che le due dive provavano l’una nei confronti dell’altra (odio che verrà acuito durante le riprese e al termine delle stesse, quando nel momento della consegna dell’Oscar a Anne Bancroft, candidata insieme alla Davis come migliore attrice protagonista, si presenterà proprio la Crawford a ritirare il premio, sorridente e soddisfatta). Bette Davis rende le debolezze psicologiche del suo personaggio, creando istrionicamente una maschera grottesca indimenticabile: sua è l’idea di ricorrere ad un alto strato di trucco, così da mascherare il viso di una donna anziana e poco incline alla pulizia. Joan Crawford, dal canto suo, è molto più trattenuta e sotto le righe, disegnando il ruolo di una vittima sacrificale fin dalla prima inquadratura.

Gioco al massacro a due soli personaggi, opera dal fascino macabro e malsano, melodramma che vira al thriller e addirittura a punte di horror spietato e crudele. Ma anche un duro atto di accusa contro il mondo dello spettacolo, tema ricorrente nella filmografia di Aldrich fin da Il grande coltello del 1955, e successivamente sviluppato e perfezionato nei successivi L’assassinio di Sister George e Quando muore una stella. Il regista rinuncia al colore virando verso un bianco e nero che omaggia il cinema delle sue interpreti, mostrando all’inizio anche alcuni spezzoni dei loro film. E dirige con uno stile barocco che alterna sequenze di grande armonia registica a momenti nettamente più sperimentali e virtuosistici, con piani ravvicinati mossi nervosamente. E, dopo due ore di tensione costante e quasi insostenibile, ci riserva un colpo di scena destinato a rimescolare, per l’ennesima volta, le carte in tavola ed i ruoli: chi era davvero la vittima, e chi il carnefice? Ma soprattutto, prima di lasciarci con un finale di struggente inquietudine e rimasto nella memoria collettiva, è la dolorosa ultima confessione tra le sorelle a scalfirci il cuore: “Allora in tutti questi anni avremmo potuto essere amiche…”

 

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