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Che fine ha fatto Baby Jane?

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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La recensione su Che fine ha fatto Baby Jane?

di LorCio
10 stelle

Claustrofobia. Ansia. Inquietudine. Sbigottimento. Straniamento. Sono le sensazioni più ricorrenti durante la visione di quello che è ormai un classico della paura psicologica. La cosa clamorosa di questo mèlo immerso nelle atmosfere gotico-metropolitane del sottoborgo umano hollywoodiano è la perfezione stilistica raggiunta da Robert Aldrich: non c’è un ingrediente sbagliato nella costruzione di questo castello pauroso abitato da fantasmi che sono caricature di se stessi, in sottile equilibrio sul filo del kitsch, a metà tra il sadomaso e il ridicolo, estremamente coinvolgente. Non c’è nulla che non va in questo capolavoro in cui si trova davvero di tutto, tutto il contrario di tutto, tutto lo scibile emotivo e psicologico dell’essere umano.

 

È un film sul fallimento professionale e pubblico che va a coincidere con il decadimento spirituale e personale, i cui effetti possiamo ben notare sulla fisicità dei personaggi principali. Mentre Blanche Hudson vive coattamente imprigionata nella casa e nei suoi ricordi, celebrata dal mondo esterno come una grande attrice dei tempi che furono, la sorella Baby Jane Hudson è stata dimenticata da tutti dopo un’effimera fama infantile da fenomeno da baraccone e col tempo si è resa aguzzina della sorella per invidia ed odio.

 

Con una crudeltà rara nella quale si ritrovano elementi di pura follia, Jane sevizia la sorella per due ore in qualunque modo (e Aldrich sembra goderne come un maiale, quasi ne percepiamo le sadiche risate, coperte da quelle stridule di Jane), sia offrendole come cena l’uccellino o il topo sia massacrandola di calci. Eppure tanto vittima alla fine la candida Blanche non è proprio, ma, si sa, le grandi attrici si riconoscono quando cominciano a confondere la realtà con la messinscena, e quando capiscono che conviene recitare una parte anche se ciò implica un inferno allucinante.

 

Gianni Amelio nel suo libro Il vizio del cinema si chiede se sia colpa di Hollywood se Bette Davis sevizia per oltre due ore le povera Joan Croawford. E sarebbe interessante far notare come Aldrich abbia avuto la geniale idea di scritturare le due dive, acerrime rivali, sul viale del tramonto. Quella tra Davis e Croawford è una leggendaria guerra tra due attrici (guarda caso anche nella finzione) che non si rassegnano allo scorrere del tempo, manifesto palesemente nel declino fisico (specialmente la Davis), e lottano fino alla fine per affermare la propria superiorità (artistica, umana, sociale… assoluta) sull’altra in una battaglia senza esclusione di colpi.

 

Se alla sublime Joan Croawford (grande rentrèe) nella remissiva debolezza del suo senso di colpa vittimista tocca subire qualunque pena dell’inferno, Bette Davis, truccata in modo indecente e vestita da casalinga ricreduta, sublima lo schermo con un’interpretazione borderline, insana e puerile (“Allora in tutti questi anni avremmo potuto essere amiche” dice ingenua nel finale alla sorella), corredata di risatine nervosamente aspre e di sguardi taglienti come una lama in un corpo, lontanamente accostabile alla maxi bambola super cult di Baby Jane coi riccioli d’oro e le guancia paffute. Finale eterno per questo film strepitoso e al di là del bene e del male.

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