Regia di Alberto Lattuada, Federico Fellini vedi scheda film
"Luci del varietà" è ricordato oggi soprattutto per essere il film d'esordio di uno dei più grandi registi della storia del cinema, Federico Fellini, in curiosa co-regia con Alberto Lattuada, curiosa in quanto nel cinema italiano dell'epoca non era molto frequente, anche se vengono in mente le co-regie di Steno e Monicelli nel genere della commedia.
Si tratta della storia di Checco Dalmonte, un capocomico di una scalcinata compagnia di varietà che effettua tournée soprattutto in teatri di provincia, legato sentimentalmente a Melina Amour, che tradisce però con la giovane aspirante soubrette Liliana, per cui intende mettere su un grande spettacolo, anche se la ragazza si mostra piuttosto insensibile ai suoi sentimenti. È noto che all'epoca il film fu un insuccesso commerciale, ed è francamente difficile stabilire se il prodotto finito appartenga di più a Lattuada o a Fellini. Si tratta di una pellicola dal prevalente registro amarognolo, con una galleria di personaggi sbozzata con vivacità e acutezza, anche se prevalgono le notazioni su una certa meschinità e mancanza di riconoscenza nei rapporti fra i membri di questa compagnia e dello spettacolo in senso lato, probabilmente veritiere anche a tanti anni di distanza, e questo è certamente un merito.
Tuttavia, rispetto ai numerosi capolavori che Fellini ci darà in seguito su argomento abbastanza simile, "Luci del varietà" appare opera piuttosto embrionale, ancora un po' incerta nella rappresentazione, con una sceneggiatura, a cui misero mano i due registi e futuri collaboratori di Fellini come Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, che appare drammaturgicamente piuttosto sbilanciata nei cambi di registro fra dramma e commedia, anche se non mancano trovate che vanno perfettamente a segno, come il finale che riapre ciclicamente la storia. Dal punto di vista della regia alcune sequenze piuttosto lunghe, come la festa notturna a casa dell'avvocato La Rosa, risultano già piuttosto elaborate e anticipano analoghe sequenze come la festa dei bidonisti de "Il bidone" o l'orgia de "La dolce vita"; nel cast domina su tutti la maschera di un Peppino De Filippo davvero ispirato nel ruolo di un attore sul viale del tramonto, un perdente anche piuttosto sgradevole, ma reso con una carica di umanità in qualche modo "chapliniana".
Molto buona la prestazione di una Giulietta Masina all'epoca ancora poco nota, che vinse il suo primo nastro d'argento come attrice non protagonista, e decisivo anche il contributo di Carla Del Poggio, moglie di Lattuada; fra i caratteristi simpatica ma un po' eccessiva Franca Valeri come coreografa ungherese.
Voto 7/10
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