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1922

Regia di Zak Hilditch vedi scheda film

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La recensione su 1922

di gerkota
7 stelle

“L’omicidio, oltre che un peccato, è anche una fatica”. È una delle lugubri riflessioni del protagonista di 1922 (il titolo è anche l’anno in cui è ambientata la vicenda), buon film del 2017 tratto dall’omonimo racconto lungo di Stephen King e sceneggiato con scrupolo da Zak Hilditch che ne è anche il regista. Al suo secondo impegno della carriera questo cineasta semisconosciuto (prima di 1922 solo l’apocalittico These Final Hours, del 2014), Hilditch si avventura nel paranormale seguendo il soggetto di uno dei più grandi maestri del brivido e dell’angoscia. Nella vita di un uomo disperato, c’è sempre una scelta alternativa all’uccisione di un altro essere umano. Ma siccome dentro ogni uomo alberga una seconda personalità, un mestatore, un lato oscuro, ecco che l’uomo diviene in grado di commettere azioni di tale gravità da poter distruggere l’esistenza di chi ne è autore.

 

La regia ha il merito, in quanto a suspense, di non far sfigurare l’opera se paragonata a illustri predecessori tratti da romanzi di King, come Carrie - Lo sguardo di Satana, la pietra miliare Shining o Misery non deve morire. La forza di 1922 è infatti proprio quella di mantenere alta l’attenzione dello spettatore, anche rinunciando a continui colpi di scena, quelli da salto sulla sedia per intenderci. Allo stesso modo, però, manca un momento topico che caratterizzi questo film e, soprattutto un finale che lo nobiliti e che lo renda degno di essere annoverato tra i capisaldi del genere.

 

Proprio come i succitati Shining e Misery, prima King nel libro e poi Hilditch nel film, in moltissime scene ricorrono alla neve per creare un’atmosfera che di candido ha solo il colore, il quale però contrasta col cupo della vicenda, intrisa di senso di morte. La coltre bianca cresce incessantemente, pesante e ammanta ogni cosa, finanche l’anima delle persone, di un soffocante senso di sacrilegio. Il peccato da espiare è il filo conduttore di tutta la storia in cui il protagonista prende pian piano coscienza dell’ineluttabile condanna cui è destinato. E l’accètta con atterrita rassegnazione, nello stordimento causato dall’alcol e da un incurabile rimorso. Nella parte di Wilfred James, grezzo agricoltore di un agreste Nebraska (bella la fotografica di Ben Richardson sui campi di granturco così come su quelli incolti e gelati dalla neve), troviamo un apprezzabile Thomas Jane, visto in un altro lungometraggio tratto da King, L'acchiappasogni – Dreamcatcher. L’attore di Baltimora riesce a trasmettere col proprio volto segnato dalla fatica accumulata nei campi, il senso di colpa che genera, nella mente del personaggio principale, un universo da incubo padroneggiato dal fantasma della sua vittima. Di fianco a Jane se la cava piuttosto bene il giovane Dylan Schmid, nelle vesti del figlio-complice Henry. A Molly Parker non manca lo sguardo sinistro di una donna autoritaria fino a essere arrogante e sgradevole, prima vittima e poi carnefice. Nel cast - non troppo nobile in quanto a singole filmografie - anche Neal McDonough, star delle serie tv americane con qualche ruolo di secondo piano in film importanti quali Minority Report e Flags of Our Fathers.

 

Film coinvolgente e a tratti spaventevole, voto 7.

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