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Loro 1

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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Texano98

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Loro 1

di Texano98
6 stelle

Iniziai a maturare questo pensiero appena visto il primo trailer del film: Loro 1 è il sogno di Sorrentino. In molti continuiamo a rimpiangere i primi lavori dell'autore, proprio mano a mano che egli, di opera in opera, se ne allontana. Alla fine credo che ci siamo tutti presi un grosso abbaglio: Loro è la dimostrazione che a Sorrentino de L'uomo in più o de Le conseguenze dell'amore non gliene frega più nulla. Questo è il cinema che egli vuole fare: una trama evanescente da cui nasce una corsa di suggestioni, talune intriganti - l'apertura con la pecora che si accascia al suolo - altre personali, senza dubbio personalissime, ma raccapriccianti - il volo del camion a rallentatore! - suggestioni che in ogni caso sembrano un intermezzo posticcio, un bisogno latente di spezzare il didascalismo con degli squarci metaforici; istanti simbolici nelle intenzioni quanto vuoti agli occhi di chi guarda, così lontano dalla mente dell'autore partenopeo.
E' possibile dividere Loro 1 in due parti, di cui la prima è senz'altro quella privilegiata maggiormente da Sorrentino, dove il mondo 'berlusconiano' è tratteggiato senza mai mostrare il diretto interessato. (Non così insensata, quindi, la divisione in due capitoli di Loro, visto che la disamina stretta su Berlusconi inizia solo a conclusione del primo capitolo) Per la prima ora di film Sorrentino trafuga l'approccio di Scorsese (Wolf of Wall Street) e Refn (Neon Demon) per delineare una società dell'apparire, senza tuttavia ottenere nè il ficcante fastidio del regista americano nè la capacità di trovare la bellezza nell'orrore dell'autore danese; esplorando il suo mondo di "coca e mignotte" Sorrentino riesce addirittura a trovare l'orrore nell'orrore, spezzando i momenti più introspettivi con l'incursione di un ultimo dettaglio - in plastica - su un seno o una natica. Finché l'ispirazione giunge dall'esterno assistiamo dunque a un buon esercizio di stile (eccetto cadute), quando poi Sorrentino prova a mettere la propria anima sullo schermo essa a inizia a dilaniarsi, contorcersi, infine implode: non resiste affatto alla prova dello schermo. Il lato libertino di Loro è la pubblicità della Martini girata per un pubblico di adulti, dove Sorrentino si sente rivoluzionario ma è così conservatore nell'evitare accuratamente di mostrare nudità maschili. Trasgressivo sì, ma solo per gioco.
Dopo aver abbandonato la storia di Sergio Morra - personaggio esemplificato benissimo dalla scena iniziale sul motoscafo, tutte le altre sono minutaggio in più - e quella dell'ex ministro Recchia - anch'egli esemplificato nella scena in cui violenta l'astuta Tamara, gli altri istanti sono minuti già scordati - eccoci entrare in una delle lussuose ville di Berlusconi/Servillo, dove l'alchimia fra l'attore e il regista giunge a rendere interessante il lungometraggio. La presenza di un personaggio così ingombrante come Berlusconi, infatti, costringe Sorrentino a scrivere e dirigere senza mai lasciarlo da solo, ritrovando la secchezza con cui aveva descritto in passato l'esistenza di Giulio Andreotti. L'ultima parte del film, tutto sommato, è la più lineare e anche la più riuscita - triste giudicare il cinema come fosse una partita di calcio, ma tant'è; al di là dei sorrisi vertiginosi del Berlusca-Servillo, con pochi semplici accorgimenti Sorrentino ci parla di un uomo che ha tutto ma che non ha niente - di tanto in tanto il didascalismo è appropriato - padrone d'Italia (in vacanza per un paio di annetti) eppure privo di un elemento complementare che egli, grandissimo estroverso, trova fondamentale per essere felice: quell'anima gemella che permetta di esprimere la propria fantasia, il proprio essere bambini, il dimenticarsi di ciò che si ha per tornare alle gioie semplici dell'esistenza. I dolly e le immagini da cartolina di Sorrentino sembrano qui andare al largo, riportando l'autore alle radici autentiche del cinema: luci, attori e dialoghi, poco altro. Il film finalmente si riappacifica, non stupisce, almeno sembra smettere di pensarci. Paolo Sorrentino dev'essersela immaginata come la discesa trionfale da una montagna russa, chi guarda come a una tregua, una fuga dall'ego di un regista incapace di comprendere la propria crisi ispirativa. Forse anch'egli dovrebbe salire sul palco assieme a Lenin, Stalin e Mao (l'altra maschera è D'Alema?) a contemplare un bambolotto prima di mangiarselo - l'ennesimo istante gustoso del film, uno sprazzo - per poi tornare a manovrare, con la dovuta cautela, una cinepresa. Solo una, per qualche anno. Senza esagerare.
Chi guarda è incerto, il 'chiacchiericcio', gustoso, si espande. Sorrentino gode.

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