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Arianna

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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La recensione su Arianna

di LorCio
8 stelle

Il volto anziano di Gary Cooper, in persistente chiaroscuro, trova la luce soltanto nelle battute finali di Arianna, rafforzando una versatile ipotesi interpretativa della trama in sé: il film contiene sì l’ambiguità (in realtà in piena coerenza con molto cinema americano) di una storia d’amore tra un maturo uomo di mondo (diciamo cinquantenne) e una giovane ragazza ingenua (diciamo ventenne), ma è anche il suggello della storia d’amore della Hollywood classica (diciamo di alcuni suoi esponenti emblematici) con il corpo attoriale più classico della Hollywood di allora (diciamo Audrey Hepburn). Arianna è quindi l’idea di un matrimonio tra il divo più umano degli anni trenta e quaranta e la diva più umana degli anni cinquanta e sessanta, officiato dal divino Billy Wilder. Che, volendo, è a sua volta una proiezione dei due maschi adulti della vicenda: la mondana scaltrezza di Cooper e l’affettuosa leggerezza di Maurice Chevalier.

 

 

È nella parentesi parigina di Sabrina che alberga lo spunto qui da approfondire nei termini di una divagazione: la ragazza della porta accanto entra nella vita di un “oggetto professionale” del padre detective per farsi carico non dell’avventura ma dell’amore, perché tutto è filtrato attraverso lo sguardo smaliziato di chi non conosce il mondo. Wilder osserva, la prende per mano e dirige la sua educazione sentimentale che si apre su una rassegna di baci rubati e si chiude con la bellissima immagine di Chevalier alla stazione: il trionfo di una Parigi senza tempo che è al di là di una cartolina. Uno scintillante divertissement europeo per gli esuli Wilder (l’eleganza di una messinscena che gioca su figure che comunicano attraverso gli specchi) e Diamond (prima collaborazione in sede di sceneggiatura), una sublimazione del discorso amoroso tra l’attore e l’attrice, l’attrice e il regista, il regista e il continente, il continente e il cinema, il cinema e la narrazione.

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