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Lazzaro felice

Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film

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La recensione su Lazzaro felice

di ethan
7 stelle

Nel podere dell'Inviolata, situato in una imprecisata località del centro Italia, tutte le famiglie che vi abitano e lavorano - uomini, donne e bambini - sono alla mercé della marchesa Alfonsina de Luna (Nicoletta Braschi) che, tramite il suo galoppino, l'untuoso Nicola (Natalino Balasso), li tiene sotto scacco, facendoli vivere in una realtà al di fuori di ogni contatto con il mondo esterno e ancor più credere che, pur lavorando duramente, siano sempre a debito con lei. Tra gli ignari abitanti della tenuta si staglia la figura di Lazzaro (Adriano Tardiolo), ragazzo semplice e solare al limite della dabbenaggine, sempre pronto a dare una mano al prossimo, che instaurerà con Tancredi (Luca Chikovani), il figlio della marchesa, un legame di complicità che andrà oltre il canonico rapporto servitore/padrone.

Alice Rohrawacher - autrice anche della sceneggiatura (premiata a Cannes 2018) - giunta al suo terzo lungometraggio, continua nella sua personale ricerca di un cinema bucolico-agreste, con un occhio di riguardo nei confronti di un mondo contadino ed arcaico che un tempo lottava contro i cosiddetti 'padroni', appartenenti ad un'aristocrazia già in fase decadente, sostituiti, ai giorni nostri, dai nuovi poveri, eredi dei diseredati di pasoliniana memoria, che vivono di stenti e attività poco lecite ai margini della società, contrapposti ai nuovi potenti, identificati nei banchieri.

'Lazzaro felice' è diviso bruscamente in due parti: la prima, splendida, è intrisa da un lato di un realismo magico che rimanda all'Ermanno Olmi de 'L'albero degli zoccoli' e dall'altro di un'atmosfera favolistica (i lupi, i contadini visti come degli agnelli sacrificali, la marchesa come la regina cattiva, Lazzaro una specie di principe azzurro), componenti queste ben bilanciate tra di loro e favorite da un uso virtuosistico della macchina da presa, che coglie in ogni inquadratura le bellezze del paesaggio in cui è ambientata la vicenda, e procede senza intoppi dal punto di vista della narrazione; la seconda invece, che procede mediante un'ellissi temporale, è caratterizzata dall'uso eccessivo di alcuni simbolismi (ancora il bestiario animale, con il lupo) che finiscono per spezzettare inutilmente il corso della narrazione e segnata da un finale debole e qualunquista, con un emblematica sequenza in un istituto bancario, ricettacolo di ogni male della società odierna.

Notevole il lavoro con gli interpreti meno accreditati, con uno sguardo su volti, gesti e parole che anche qui rimanda al cinema di maestri come Olmi e Pasolini, fautori dell'uso della parlate locali, con la gradita sorpresa del Lazzaro dell'esordiente Adriano Tardiolo, la cui recitazione improntata sulla spontaneità cozza con la prova enfatica di una poco convincente Nicoletta Braschi, nel ruolo della vanitosa 'regina delle sigarette', per fortuna sostituita, nella seconda parte, da una, al contrario, sempre in parte Alba Rohrwacher.

Giudizio, nonostante la chiara duplicità della pellicola, comunque positivo (con qualche riserva).

Voto: 7.

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