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Luci della ribalta

Regia di Charles Chaplin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Luci della ribalta

di PETRAgrafico88
10 stelle

La bellezza di una storia che ha la giusta pretesa di essere "unica".

                                                   

Pellicola di rara bellezza, “Luci della ribalta”, film del 1952, è un messaggio non crudo di imminente e futura chiusura del sipario,

l’ arrivederci, più che l’ addio, di un cineasta scolpito ormai nelle lunghe fila della storia del cinema internazionale; Sir Charles “Charlie” Chaplin.

Dopo grandi capolavori quali “Tempi moderni”, “Il monello” e “Il grande dittatore”, Sir Chaplin ci accompagna teneramente in questo suo terz’ ultimo lungometraggio, fiaba personale di cui il carattere principale è un artista ormai anziano e in rovina, un clown, che incontra una ballerina perduta e senza fiducia nel futuro, dove, quasi come nella favola di Andersen, il soldatino di stagno cercherà di fondere la sua anima, anch’essa perduta, in quella di una generazione bisognosa d’ essere portata alla luce da chi, dell’ esperienza delle luci della ribalta, conserva solo un vago ricordo.

Come ho introdotto, la storia, ambientata nel 1914, narra di Calvero (interpretato dallo stesso Chaplin), un comico d’ altri tempi che vive in una Londra scura, dormiente e bigotta, le cui luci davvero speciali sembrano essere solo quelle dei ristoranti e dei teatri alla moda.

La città stessa che fa da sfondo alla vicenda diviene quasi fumogena e spettatrice di tutte le disgrazie dei suoi cittadini, troppo sofisticata e pomposa per artisti come Calvero che, un tempo, con la semplicità di sketch umoristici molto innocui, teneri, quasi infantili, faceva traballare le sedie anche degli spettatori più avari d’umorismo; in questo sipario metropolitano il protagonista, oramai decaduto come giullare d’ avanspettacolo, si lascia andare, vivendo quasi sempre in povertà e ubriachezza.

Un giorno, poi, Calvero, di ritorno da una sbronza, salva la vita di una giovane donna che tenta il suicidio nello suo stesso palazzo, costretto a tenerla in convalescenza in casa sua; la ragazza è stata una ballerina dell’Empire Ballet e il suo nome è Thereza  Ambrouse, detta Terry, qui interpretata da una giovane e elegante attrice del teatro inglese dall' aura gentile e sofisticata, quale Claire Bloom.

Da questo momento Calvero, costretto dagli eventi, diviene più responsabile nei confronti della giovane e ne prende a cuore il destino avverso, smettendo quasi del tutto di vivere dissolutamente, volendo in tutti i modi portare la ragazza a riscoprire il suo talento, anche a costo di venir messo da parte e lasciare che la bravura di Thereza la porti come protagonista davanti al pubblico acclamante, sotto la famigerata fama che lui ha desiderato, perduto e rincorso per tanto tempo.

L’ opera filmica, nella sua poesia e nel suo grande valore intellettuale, imposta la narrazione, appunto, sul personaggio di Calvero fin dal principio come da tradizione: esso è un uomo normale, fragile, alla ricerca del suo posto perduto dopo il molto successo che, oramai, ha lasciato alle sue spalle; non è un vagabondo a tutto tondo ma ci si comporta, vive con una filosofia della vita molto triste, apocalittica, quasi fatalista, sognatrice di un tempo in cui alla gente piaceva ridere semplicemente e senza grandi filosofie e sofisticazioni.

Il personaggio interpretato da Chaplin, in fondo, è un anziano artista sconsolato che adesso sembra vivere senza arte né parte, abbattuto dai tempi che è costretto a sopportare, perciò l’ arrivo di questa ragazza, questa appartenente ad una generazione nuova e, forse, più fortunata, gli appare come un uccellino caduto dal nido che non sa e non vuole volare, e tale situazione, che gli è stata imposta fin da principio, diviene l’ occasione per accorgersi d’ essere ancora importante nei confronti sia di se stesso che del prossimo.

Incontrare Terry è una manna dal cielo inaspettata, aspra in certi modi ma indispensabile, atta a muovere nel personaggio principale quella spinta ad essere guida, mentore della spiritualità artistica delle nuove generazioni.

Calvero e Thereza sono caratteri cinematografici che fanno parte di una giostra fantastica costruita nella narrazione come archetipo degli eterni fanciulli, i giovani dentro, quelli che, nonostante le difficoltà, si fanno coraggio e vanno avanti con fiducia, trovando il sostegno giusto ognuno nella morale dell’ altro.

Analizzando, dunque, il personaggio di Thereza, lo troviamo leggermente differente dal clown ma, per certi punti, speculare: una ragazza bella, giovane, promettente, nel fiore di una vita che, se spesa bene, potrebbe donarle tante soddisfazioni ma che, come il comico nostalgico, specularmente è sconsolata, sfiduciata; essa, dopo aver vissuto tanti brutti momenti, decide di commettere il deprecabile gesto del suicidio spinta da ciò che l’ uomo che le salva la vita, al contrario, nonostante il suo vivere dissolutamente, considera una meraviglia senza degne spiegazioni, ossia la ricerca del vero senso del vivere, che è la vita stessa nelle sue incomprensibili situazioni.

Terry è convinta che tutta la sua esistenza sia superficiale, senza significato, non degna di essere vissuta, ed ha bisogno che una persona d’ altri tempi, di una generazione più matura, la riporti a scoprire la ragione del deliquio; ci troviamo di fronte a un personaggio che è il perfetto alter-ego del protagonista, che spesso porta lo stesso comico a meravigliarsi del tanto sconforto della ballerina, poichè essa è demoralizzata proprio perché, nella sua mente giovane e poco incline alla speranza, tende a minimizzare quasi tutto e a ingigantire, seppur con enorme dolcezza, i suoi problemi interiori.

Terry crede che la vita non sia degna di essere vissuta, mentre Calvero ha bisogno di credere che, al mondo, ci sia ancora speranza e un posto degno della sua professione, dove potere vivere i suoi sogni nostalgici e ritrovare finalmente la serenità che tanto va rincorrendo, quindi, specularmente,  trova in lei un espediente per uscire da se stesso prendendosi sulle spalle la totale responsabilità di questa anima smarrita comportandosi da padre di famiglia, da amico, da artista che crede nella reiterazione dell’ arte quando essa è dormiente e non vuole più venir fuori da alcuno.

I due personaggi, allora, sono la riuscita perfetta dell’ incontro tra generazioni lontane che, fatte pur sempre di esseri umani e accumunate dalle stesse passioni artistiche, finiscono con affezionarsi l’ un l’altra all’ aura dell’ amico a cui appoggiarsi.

La pellicola presenta anche altre chiavi di lettura come, ad esempio, dopo la scena in cui Terry confessa, in totale confusione, il suo amore a Calvero (quindi ad un uomo molto più grande di lei!), in tale scena il personaggio maschile fa di tutto per spingere

l’ amica verso la sua giusta destinazione, ossia un ragazzo di cui è stata ed è ancora innamorata, il tutto senza approfittarne o reprimerne la libertà; questo gesto, possiamo dire, è un’ eredità d’ altri tempi, in cui Chaplin prende a cuore non solo il destino artistico del personaggio femminile ma anche della sua vita affettiva.

Non lega il destino dell’ artista decaduto a quello della ballerina in ascesa, anzi prende come un dovere morale il lasciare che tale personaggio, confuso e guidato dalla pura gratitudine, non faccia l’ errore di legarsi a qualcuno solo per spirito di riconoscenza. Così Calvero, nonostante ciò gli costi molto, con la saggezza tipica di chi ha vissuto bene tutte le fasi della sua vita, si accorge dei veri sentimenti della giovane, quelli appunto che prova per questo ragazzo, e ne rifiuta l'affetto.

Questa presa di posizione la si vuole sottolineare per fornire una chiara e importante visione che si regala allo spettatore, ossia che, nonostante lo stesso regista prediligesse per, nella vita reale, per sé donne molto più giovani, forse, in questo film arriva la consapevolezza dell’ età, una maturità riscoperta e, insieme ad essa, il rispetto per l’ età dell’ altro, concetto questo che, proposto attraverso Calvero nel rinunciare all’ affetto che Thereza nutre per lui, trova in Chaplin un intellettuale che ci svela la coscienza dell’ appartenere ad un mondo in evoluzione, e che tale maniera trova importante intendere un importante messaggio, cioè che le vite altrui devono essere libere di trovare il loro posto nel mondo senza volerne ingannare l’ essenza con la possessività e

l’ egoismo, con la cognizione ancora più importante che il loro mondo interiore debba essere libero di scegliere la propria strada, senza costrizioni o confusioni.

Ricollegandoci a tale concetto, se pensiamo bene, non sarebbe facile nel mondo di oggi fare una scelta così sofferta ma indispensabile, e la grandezza di questa pellicola è proprio il fatto che essa si rivolga alle passate come alle nuove generazioni, portando il messaggio di tolleranza e rispetto per altrui differenze intellettuali con lo scopo di porre un omaggio alle nuove leve dell’ arte, cinematografica e non: un omaggio che consiglia di non lasciare da solo ciò che era prima di loro, ma di trasformarlo, farne eredità propria, renderlo migliore e superarlo, se si posseggono le giuste facoltà.

Ancora, con il tenero personaggio di Calvero c’ è un’ennesima svolta nel significato della cinematografia chapliniana: con la morte sul palcoscenico del protagonista, il regista decide di annunciare la sua decadenza personale come artista, perché si accorge per primo che i tempi, i suoi famosi tempi moderni, stanno cambiando radicalmente e che, presto, forse non ci sarà nemmeno più tempo per la poesia, la semplicità e la leggerezza che un tempo faceva parte senza problemi dell’iter quotidiano di una generazione che adesso ricorderemmo come quella dei nostri

bis-nonni, a cui tutti noi, credo, faremmo fatica a riconoscerci, data la grande difformità di contenuti riscontrabili ma che comunque possiamo immaginare come più semplici e, in un certo senso, più autentici.

Ma la ragione di questo concetto, questa scelta artistica, non è dettata solo dalla pura arte, benché è collegata ad altre necessità, da retroscena storici che bisogna assolutamente citare.

Tale addio e la concezione della morte sul palcoscenico sono stati, storicamente parlando, l’addio di Chaplin all’universo hollywoodiano: il regista, infatti, dice addio per sempre tramite questo film al mondo di Hollywood a causa delle aspre critiche, delle vere e proprie accuse che gli vengono mosse contro dal cosiddetto maccartismo anni ’50, cioè un periodo di censure voluto dal senatore J. McCarthy ai danni di molti artisti e non solo, una grande caccia alle streghe americana volta a scovare tutte le influenze del Comunismo vive nell’ America di quegli anni.

Chaplin venne appunto accusato di attivismo antiamericano e gli fu impedito di entrare nuovamente come cittadino americano approfittando del suo soggiorno europeo, avvenuto nell’anno 1952.

Pur essendo stato riconosciuto colpevole di nessun reato, a Chaplin non fu più permesso di tornare a Hollywood, così, in questa straordinaria pellicola di cui parliamo, se ne discosterà con tutta la classe possibile, prediligendo un contenuto cittadino e vicino alla gente ad un contenuto puramente politico.

Questo importante ritratto filmico, passaggio di vita da una generazione decaduta ad una generazione in ascesa, ribadiamo, è un regalo che Chaplin fa alle nuove genesi, forse anche agli stessi suoi figli e all’ intera sua famiglia, che fa partecipare attivamente; infatti, le figlie, tra  cui la molto piccola Geraldine, il figlio Sidney e la giovane moglie compaiono in diverse scene, e lo stesso personaggio di Thereza, come affermerà la stessa Claire Bloom in varie interviste, fu concepito secondo il modello della madre del regista, quasi a volerla riportare in vita, a sublimarne la figura stessa, e ciò solo perché, da quale uomo lungimirante che è stato, a mio avviso uno dei grandi “veggenti e viaggiatori” della storia, aveva capito benissimo che terminare in bellezza e lasciare il posto ai nuovi talenti era un dovere generazionale a cui nessun artista che si rispetti doveva rinunciare, come fosse stato un servizio alla società, un dovere morale.

Per Chaplin dire addio in questo modo così poetico era un modo di morire lasciando una scia dignitosa e un augurio per un futuro migliore in mano a chi il talento avrebbe dovuto coltivarlo e metterlo al servizio della collettività per la creazione della bellezza; come già osservato da Bernardo Bertolucci, non è Calvero a morire nel film ma è lo stesso Chaplin che dice addio al pubblico nella maniera più dolce e indimenticabile che conosce.

Il saluto ultimo alle luci della ribalta in cui Sir Charles ha sguazzato per tanti anni entrando nella storia del cinema è, tolti i presupposti storici, una supplica al preservare la poesia e la semplicità della vita, a lasciare sempre aperta la porta del sorriso e della meraviglia, soprattutto la speranza nella vita e nelle occasioni che essa, inaspettatamente, ci sa regalare (si veda, per comprenderne meglio il messaggio, la canzone “Smile”, cantata per la prima volta dal cantante Nat King Cole nel ‘54, grande classico e concepita dallo stesso regista proprio come La Titina).

Aggiungo, per chi è amante delle belle atmosfere, che tale pellicola potrebbe essere ricordata, se non per l’ articolazione profonda dei plurimi messaggi, per l’ atmosfera di cui è intrisa, quasi fosse un fazzoletto bagnato: sembra proprio di camminare con Chaplin attraverso le vie di Londra, di respirarne la nebbia, la muffa di certi ambienti modesti della popolarità londinese,  di entrare nei teatri e assistere all’audizione di Thereza da sotto il palco, o spiare da dietro la porta dei caffè e dei ristoranti le conversazioni fra i vari protagonisti; insomma, la sospensione del sogno e delle sue emozioni è notevole in tutto il film, arricchita dalla magnifica interpretazione degli attori, da buon teatro inglese e anche di più, e la bellissima e soave colonna sonora che lo stesso Chaplin aveva ideato, giusto per non lasciarsi sfuggire nulla…

Concludo con la considerazione che se, per un puro caso o disimpegno momentaneo, fosse sfuggito allo spettatore lo sguardo smarrito di Calvero, disperato dal fallimento della sua carriera, con gli occhi luccicanti come i bambini quando perdono la mano della mamma, da solo, nel camerino o nel buio del teatro, allora è bene fare marcia indietro e godere di ogni luce dei suoi occhi impauriti, fissandoli bene, profondamente, perché in tale espressione è inserito tutto il film e tutto il suo significato, ovvero nell’umanità di un regista che non ha seguito il suo egoismo personale per pedinarne il mero successo, ma di un artista impegnato a risvegliare le coscienze, così come aveva voluto fare ne “Il Grande Dittatore” perché, in quell’espressione umana e sconfitta sta il dovere di ogni uomo, di ogni vero artista di sapere che, anche se il suo periodo è passato, nulla è perduto, e che nessuno, nemmeno nelle situazioni peggiori, gli darà mai il diritto di fermare la vita che va avanti, sia la propria che quella altrui, perché così facendo non sarà mai in grado di scoprire quanto il suo contributo all’arte potrebbe essere fondamentale per le nuove generazioni che tanto hanno bisogno d’essere guidate nella direzione giusta; questo sta a significare, per quanto mi riguarda, essere veri maestri e veri artisti: avere il coraggio di capire quanta arte c’è in ognuno di noi ed avere il cuore di direzionarla nella maniera più giusta e più onesta, senza intralciarne il cammino con il proprio narcisismo.

 

 

 

                                                

Charles Chaplin, Buster Keaton

Luci della ribalta (1952): Charles Chaplin, Buster Keaton

 

 

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