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Ventiquattro occhi

Regia di Keisuke Kinoshita vedi scheda film

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La recensione su Ventiquattro occhi

di maurizio73
8 stelle

Affresco corale e accorato, accordato sul registro di una delicata elegia, il racconto di Kinoshita si attarda nella nostalgica cronologia della memoria delle propaggini meridionali dell'arcipelago, raccontando, attraverso gli occhi di bambini che crescono insieme alla loro maestra, le difficili trasformazioni economiche e sociali tra due guerre.

Il primo impatto con la scuola per la giovane Oishi e per i suoi piccoli alunni nell'isola di Shodoshima è una comunione di sentimenti e di solidarietà che consoliderà un legame lungo tutta una vita. Trascorsi vent'anni da quell'esperienza meravigliosa, verrà il momento di tracciare un bilancio che, tra lutti e disillusioni, confermerà la reciprocità di un sentimento e la memoria di una foto di gruppo che il tempo sembra non aver scolorito affatto.

 

locandina

Ventiquattro occhi (1954): locandina

 

Storia di una maestra chioccia nel Giappone che cambia...

 

Affresco corale e accorato, accordato sul registro di una delicata elegia, il racconto di formazione di Kinoshita si attarda nella nostalgica cronologia della memoria delle propaggini meridionali dell'arcipelago, raccontando, attraverso gli occhi di bambini che crescono insieme alla loro maestra, le difficili trasformazioni economiche e sociali di una nazione a cavallo tra due guerre e adombrando una scoperta insofferenza verso le restrizioni di una galoppante ideologia marziale, nel contrasto tra le ansie di una sensei in pena per il futuro di giovani destinati al fronte e le vessazioni di una ottusa cultura della delazione e del sospetto che la tallona da presso. Dal racconto della scrittrice autoctona Sakae Tsuboi, la figura di una giovane maestra chioccia  assurge quindi a coscienza morale di un popolo che affronta con coraggio e solidarietà le offese di un paese povero trascinato a forza nella follia della guerra, di una curatela sentimentale che ricapitola attraverso le proprie vicende private vent'anni di storia del Giappone come solo La Cerimonia di Oshima (critico letterario e grande estimatore del regista, prima che grande autore conosciuto da tutti) avrebbe saputo fare quasi vent'anni dopo. Dalla veloce panoramica di carrellate orizzontali, quadri fissi di suggestiva resa figurativa e l'agile montaggio di dissolvenze incrociate, Kinoshita alterna la fedele rappresentazione di una economia di sussistenza (cavatori, pescatori, massaie o umili maestri) alla struggente bellezza di pagine da libro cuore, rimarcando così  gli indissolubili legami affettivi di una stagione irripetibile, nel segno di una tradizione di valori e di rispetto destinata alle inevitabili trasformazioni del tempo che passa e degli stravolgimenti culturali di una civiltà operosa e pacifica commissariata dalla politica coloniale nipponica in Cina prima e dalle potenze occidentali negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra modiale dopo. Emblematica, per centralità nell'economia del racconto e per il suo valore simbolico, la scena in campo lungo del funerale dell'anziana madre di Oishi: la composizione simmetrica di un corteo funebre che taglia in due la placida distesa di un campo di grano, stagliandosi sullo sfondo della lugubre teoria di lapidi di un cimitero del tempo di guerra.

 

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Lo shomin-geki per Kinoshita non è mai stata una questione solo di tradizione, ma il duttile strumento attraverso cui interpretare compiutamente il proprio tempo: uno sperimentalismo formale che porterà alle estreme conseguenze solo nei lavori successivi, ma che accompagna sempre con il rigore di una raffinata perizia tecnica; con lo stile classico di chi sa toccare le corde più profonde della commozione e della poesia, senza cadere nei facili inghippi del sentimentalismo più spicciolo e convenzionale.
Assistiamo allora alle commoventi pagine di un diario degli anni verdi (come avrebbe detto Cronin), vissuto nella delicatezza di un legame affettivo che rinsalda il suo imprinting sin dal più classico degli appelli di classe (dove, tra campo medio e primi piani, già emergono i caratteri di piccole anime tenute a battesimo negli affettuosi nomignoli che si sono dati), per proseguire con gli intermezzi di scanzonati (e poco canonici) cori d'infanzia che rimandano all'esperienza musical del primo film a colori del cinema giapponese ed alle delicate sfumature di una solidarietà umana che legherà per sempre i cuori di giovani vite destinate alla dolorosa dispora dell'età adulta. Nel canto d'addio nel cortile della scuola e nella foto di gruppo di una classe felice, l'epilogo di una esperienza irripetibile ed il testimone di un passaggio generazionale che non raccoglierà più nessuno: gli alunni destinati ai diversi mestieri di un'epoca grama o alla morte prematura nei campi di battaglia e la maestra in dolce attesa che sente per il figlio che porta in grembo, per quelli che verranno e per quelli che vede partire la necessità di un destino migliore, l'obbligo morale di una vita diversa. Nella reunion di classe due decenni dopo, il regalo di una bici per chi deve istruire la nuova generazione dei figli degli allievi ed una classe superstite di quasi sole donne dove il reduce Sonki, rimasto cieco, ricorda a memoria la disposizione dei compagni di scuola nel ritratto d'infanzia che ciascuno di loro si porta nel cuore.

 

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Si piange a dirotto da entrambi i lati dello schermo cinematografico, anche per via di attori bambini di commovente naturalezza e per la luminosa bellezza della stella Takamine, già musa canterina nel primi successi internazionali di Kinoshita e indimenticata protagonista al servizio, tra gli altri, di maestri come Naruse  (Inazuma, Ikigumo), Ozu (Munekata Kyodai) e Gosho (Entotsu no mieru basho). Golden Globes come miglior film straniero, Blue Ribbon Awards e Kinema Junpo Awards 1955. Remake filologico a colori del 1987 di Asama Yoshitaka, purtroppo introvabile.

 

Passeggiando sulla spiaggia il mattino,
ricordare vecchie cose passate,
il rumore del vento, la forma delle nuvole,
il frangersi delle onde e il colore dei remi

 

Camminando sulla spiaggia la sera,
ricordare la gente dei tempi passati,
il continuo andare e venire delle onde,
il colore della luna e le stelle.

 

 

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