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Caniba

Regia di Verena Paravel, Lucien Castaing-Taylor vedi scheda film

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La recensione su Caniba

di EightAndHalf
8 stelle

Quando si guarda Caniba si viene letteralmente inghiottiti da close-up senza confini e out of focus che sfidano gli occhi dello spettatore a oltrepassare i contorni dell'immagine, a mettere lui stesso a fuoco ciò che (non) si vede, a superare i limiti imposti dall'inquadratura. Fondamentalmente, il piacere di sfondare gli ostacoli e cadere nell'oblio. 

Ai 2 registi Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor non interessa l'exploitation del corpo come forma di cannibalismo (in accezione negativa), interessa invece la (ri)produzione del piacere che prova Issy Sagawa nel nutrirsi di un'altra persona. Infatti l'effetto che fa Caniba è quello di indurre nello spettatore quasi un cupio dissolvi, una voglia di autoannichilimento diretta conseguenza del desiderio di superare l'impossibilità di rappresentare la natura umana nei suoi angoli più oscuri. Quei fuorifuoco così intensi e aggressivi grattano sulla retina richiedendo uno sforzo sensoriale non trascurabile, ma ripagano generosamente lo spettatore in ambito emotivo: l'esperienza di essere guardati e ripresi per Sagawa e fratello masochista è un'occasione terapeutica e salvifica. Infatti c'è, da parte dei registi, l'intenzione di presentare il cannibalismo come mania degenere ma comunque umana, non separata dalla sfera emozionale. Raccontandosi reciprocamente due loro fondamentali segreti, i fratelli Sagawa infatti trovano uno spiraglio dalle loro masturbatorie manie (difficilmente condivisibili perché estreme) grazie a un contatto umano. E' un'emozione pure per lo spettatore quando le infinite valli delle gote e delle guance di Sagawa vengono rigate da una lacrima e illuminate dalla luce dell'esterno ("è un miracolo!"). Sagawa potrà dirsi felice. Più che a Pasolini, per leggere Caniba si guardi ai taboo costantemente infranti della New French Extremity, ai close-up dei film dai colori virati di Sokurov o, volendo fare delle forzature, a Shame di Steve McQueen.

Particolare poi è il fatto che ciò che confessa Sagawa al fratello è che ha disegnato un manga che racconta di quanto lui stesso fece al corpo della donna che uccise e mangiò: di fatto non si capisce se l'oggettivazione della propria mania sia parte della mania stessa o un vero bisogno autoterapeutico. Il risultato è in ogni caso il superamento di ogni limite morale a favore di un istinto che tramuti, gradualmente, in dolce oblio. Un deragliamento dei sensi favorito dal fatto che i due registi non sempre capivano quello che i due fratelli dicevano in questa assurda intervista che è Caniba, quindi le immagini stesse deragliano nella direzione di una dissonanza audio-video esaltante alienante e stravolgente.

 

Tra le visioni più sconvolgenti e suggestive di Venezia 74, in concorso Orizzonti.

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