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Manhunt

Regia di John Woo vedi scheda film

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La recensione su Manhunt

di supadany
7 stelle

Venezia 74 – Fuori concorso.  

«A volte, un uomo deve affrontare la morte per volare».

Cos’è possibile aspettarsi da un autore che ha diretto l’ultimo film importante nel 2010 (il faraonico La battaglia dei tre regni), dopo che la sua avventura americana era passata da cult assoluti (Face/off) a film di dubbia utilità (Windtalkers e Paycheck)?

Bene, John Woo soverchia ogni dubbio. Manhunt guarda al suo passato più glorioso per poi prendere di mira l’infinito (e oltre), scivolando con grazia assoluta anche nella parodia di se stesso. Se siete per la logica formale, voltate il vostro sguardo altrove, qui non la troverete, ma se volete vivere un’esperienza action totalizzante che libra le sue ali in volo facendosi un baffo di ogni regola pur essendo referenziale, questa è un’occasione unica, irripetibile.

Nelle sue fondamenta, la trama è uguale a mille altre già viste, per poi articolarsi spasmodicamente in mille rivoli volutamente eccedenti.  Du Qiu (Zhang Hanyu) è un avvocato accusato di un omicidio che non ha commesso. Riesce a fuggire dal luogo dal delitto e finisce con lo stringere un’alleanza con Yamura (Masaharu Fukuyama), il poliziotto che lo insegue. Infatti, il vero nemico è un altro e ha in serbo un piano che potrebbe produrre una scia di morte potenzialmente senza fine.

 

Hanyu Zhang, Masaharu Fukuyama

Manhunt (2017): Hanyu Zhang, Masaharu Fukuyama

 

Preso sul serio, Manhunt vale come un due di bastoni quando la briscola è denari, tanto che crollerebbe come un castello di sabbia costruito troppo vicino al mare.

Su questo aspetto, John Woo ci marcia fino al parossismo più estremo, tirando in ballo una catena di legami da thriller d’altri tempi per poi creare un caos action che mescola capre e cavoli con una semplicità d’esercizio tale da lasciare esterrefatti.

Stilisticamente, compie carambole incredibili (vedi un inseguimento via acqua e una sparatoria in una villa) alternate a ruzzoloni impensabili, usando iperboli ed ellissi a suo estremo piacimento, ma soprattutto crea un mood percettivo per cui anche l’impensabile e l’incongruo diventano leciti, con le classiche colombe segno di pace che attraversano le traiettorie dei proiettili, cavalli che arrivano (quasi) dal nulla e motociclette che sbucano da ogni dove, moltiplicandosi cancellando ogni parvenza di raziocinio, durante una colluttazione.

Sinceramente, un’esibizione così assurdamente divertente, e coreografata come non si fa almeno da 15/20 anni, non si vedeva da una vita. Chiaramente si parla di equilibri sottili. Tra lo scivolarci dentro e reprimerlo come la peste, passa un battito di ciglia, eppure la volontà del regista è di una limpidezza fuori discussione.

Ricorrendo a un montaggio serrato fino a diventare imbizzarrito, con dettagli ripetuti fino all’assuefazione (vedi il sudore sui volti) e un’enfasi distruttiva, l’autocitazione di un maestro - A better Tomorrow è letteralmente dentro al film - si ammoderna, dando luogo a una reazione a catena, come un terremoto che genera uno tsunami, calpestando tutto e tutti, fino ad arrivare a enucleare frasi fatte in una concatenazione perenne così, senza alcun ritegno, tanto che l’ingordigia ne avrebbe volute avere ancora.

Il film più scatenato, irriverentemente coerente, vertiginoso e assurdamente coinvolgente di Venezia74.

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