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Gli sdraiati

Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Gli sdraiati

di alan smithee
6 stelle

Il dialogo tra persone rientranti in generazioni differenti non sempre trova la possibilità di concedersi spazi e modalità per essere coltivato. Se poi i due sono padre e figlio, e la famiglia vive i postumi di un divorzio piuttosto sofferto e colmo di strascichi umorali e psicologici, ecco che le possibilità di instaurare un rapporto sincero e corretto tra i due naufraga verso un fallimento più totale ed imbarazzante.

Al noto anchorman televisivo Giorgio Selva - succube di una separazione matrimoniale piuttosto complicata - la gestione del figlio diciannovenne ribelle e imprevedibile Tito - che all'epoca della causa legale scelse di risiedere metà del suo tempo col padre, ma che ora si pente di quella scelta avventata e ormai poco pertinente - diviene un autentico problema in termini di convivenza, di gestione degli spazi comuni, e soprattutto in termini di rispetto reciproco.

L'atteggiamento scontroso e chiuso di un figlio che lo considera la massimo con gesti primordiali o versi gutturali, come risposta alle sue candide richieste di chiarimento e tentativi di intavolare un dialogo civile, toglie subito dal vaglio ogni opportunità di virata verso un civile accomodamento.

Si registra, da una parte, il tentativo bonario e goffo del padre di soprassedere a tanta freddezza ostentata con atteggiamento inutilmente ostile del giovane, a cui corrisponde, come contraltare, un atteggiamento insofferente e freddo del figlio ribelle, sempre proteso a sentirsi soffocato e condizionato dalla maniacalità tutta attenzioni del genitore, ma non per questo così orgoglioso da fare a meno dell'aiuto economico perennemente assicurato dal portafoglio paterno.

La situazione si complica ulteriormente quando Giorgio scopre che la nuova fidanzata di Tito è la figlia di una sua amante, a suo tempo occupata a fare la domestica nella casa di famiglia. Il dubbio che la ragazza possa essere la sorella naturale di suo figlio, diviene un chiodo fisso per Giorgio, rendendo ulteriormente complicata la gestazione di tutta la serie di relazioni che la vita di famiglia implica e comporta.

Dall'omonimo romanzo di Michele Serra, Francesca Archibugi (Mignon è partita,Verso sera, Il grande cocomero, Con gli occhi chiusi, L'albero delle pere e successivi)si trova piuttosto a suo agio a tornare ad occuparsi, come ha fatto spesso durante la sua rispettabile carriera di cineasta affidabile e sensibile, di rapporti interpersonali falliti o in rovina tra due diverse generazioni che non colloquiano e non trovano una soluzione utile e saggia per rispettarsi o almeno accettarsi.

E al di là dell'ambientazione sin troppo marcatamente borghese - responsabilità dell'opera letteraria, più che della trasposizione cinematografica - il film si presenta come una commedia dai toni scanzonati e ironici, che non si dimentica di lasciare quel sottofondo amarognolo e semiserio fornito dall'esigenza di un confronto inevitabile, tuttavia spesso rimandato o nascosto da un fisiologico istinto di sopravvivenza che spinge a non tuffarsi addentro al problema, raggirandolo.

Certo nel confronto generazionale, a livello di credibilità e di resa cinematografica, a vincere sono i grandi, e non solo perché assumono inevitabilmente le vesti di attori versatili ed espressivi, soprattutto se nelle vesti di Claudio Bisio, il fantastico nonno/suocero Cochi Ponzoni, Antonia Truppo, Barbara Ronchi e, in due camei di lusso, Donatella Finocchiaro e Sandra Ceccarelli

I giovani del gruppo, la cosiddetta "banda di froci", sdraiati in segno di opposizione ad uno stile comnportamentale che li imbarazza ed in cui si sentirebbero solo costretti, ma che non rinnegano quando si tratta di ricavarne i mezzi di sostentamento, si dimostrano sin troppo impostati ed interscambiabili nel loro scazzo per partito preso, nella variegata natura dei personaggi che compone il gruppo, programmati tutti senza una vera necessità e ostentati nel loro affrontare la vita, quasi come se l'ostilità e la superiorità che si portano addosso, fosse un'arma che li protegge contro ogni difficoltà di gestione dei rapporti interpersonali e nell'affrontare le incognite perenni di un mondo adulto incomprensibile, o semplicemente troppo prevedibile.

 

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