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Arrhythmia

Regia di Boris Khlebnikov vedi scheda film

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La recensione su Arrhythmia

di lostraniero
8 stelle

Ci sono film che travagliano il cuore. “Arrhytmia” è un ‘omen nomen’, allora. Questi film, i film ‘cardiaci’, riescono – al netto del loro appartenere o meno ad una determinata scuola d’immagini, del loro correlarsi ad un preciso contesto sociale o politico, di un ricercato o rinnegato modo di stare sul mercato cinematografico internazionale –, ad ergersi sulla fiumana di opere editate ogni anno, per raccontarci – con sublime armonia, quasi involontaria a volte – semplicemente l’uomo.

L’amore tra Katya ed Oleg (roba degna di una novella di Zamjatin; tanto il regista ci si mette d’impegno a scalpellare sull’attuale sistema russo, tutto vocato alle “regole del 20”, per tirare in ballo l’antipatico manager del centro di primo soccorso che vediamo nel film), espone un confronto così privato, oscillante tremando tra ansia di precetti e fede nei sentimenti, da divellere alla fine i cardini della stessa finzione per restare sospeso a mezz’aria, a mo’ di operetta morale universale.

L’alternarsi della scena, che passa per contrappasso dal claustrofobico appartamento dove i due giovani medici con-vivono (un piccolo pantheon della Parola e del Silenzio), all’immenso mondo che li ri-dipinge su un arazzo aspro di sangue, urla, odio, povertà, urbanesimo freddo e livido, rappresenta il dentro-fuori di una nazione intera. Se non è lo screening inequivocabile di un’epoca, esso copia alla buona il triage di un fallimento. La ‘vastità’ russa s’è contratta in un bacio al sapor di troppa vodka, nelle pisciate che la vescica del corpo (ed anche quella dell’anima, volendo forzare), non riesce più a controllare. In un metabolismo in cui fottuti pranzetti fatti all’impiedi, copule con spirali anti-progenie, ingorghi stradali che mettono a repentaglio la Velikaya Zemlya stessa, cospirano per indebolire – più che nutrire – le sue carni viventi. Che sono uomini e donne, innamorati d’amore nel caso in questione, alle prese con l’arrivo degli ‘sponsor a tempo’ negli ospedali e dentro alle ambulanze di una grande città russa oggidiana. ‘Facilitatori’, spesso emanazioni dirette di oligarchi e per cartelle di proventi, che cercano di investire rubli sul limite (mai scontato, sempre denso di emozione come di codardume), che separa la vita dalla morte, la rendita dall’aiuto, il pathos dall’adiaforía.

 

 

 

Immagino come la media dei registi ‘da mèlosocialdrama’ italiani che vanno per la maggiore (con quale grado poi di capacità epifanica, non so!), avrebbero trattato soggetto e script di un’opera come questa. Ne sarebbe venuto bene un ‘capolavoro di fine stagione’; azzardo, o un “L’amore ai tempi del 118” od un “Atropina e calcetto”. Tanto questo nostro paese ha costruito il falso mito di una comunità ignorante e sprezzante, che teme tutto ed aggredisce per non perire. Tanto, invece, in questo scorcio di inizio secolo/millennio non è paura, angoscia, attesa e scelta che ci fanno essere ciò che siamo; forse è la inopinata ed infinita guerra tra due cordate d’interessi psicoculturali, che ieri avevano colori bruni e caldi ed oggi, avveratosi il giro di valzer nel gran salone dell’ingiustizia, mettono in campo tweeters ed aziende di persuasori. Nessuno, in Italia, avrebbe girato mai questo film come lo ha girato e montato Boris Khlebnikov. Poco ma sicuro.

 

 

 

Nessuno si faccia l’illusione che “Arrhytmia” esca presto sui cartelloni dei cinema, ed entri (sobbalzando – respirando – piangendo), dentro al buio delle nostre sale. Un film semplicissimo, portentoso. Roba che qui nessuno cerca.

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