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Rapina a Stoccolma

Regia di Robert Budreau vedi scheda film

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La recensione su Rapina a Stoccolma

di Furetto60
6 stelle

Storia del fatto di cronaca, che ha dato il nome a quella che è conosciuta come "sindrome di Stoccolma"

Siamo a Stoccolma, nell’agosto del 1973, un evaso dal carcere, fa irruzione nella centralissima Sveriges Kredit Bank, travestito da americano, truccato con dei baffi e una parrucca, si attribuisce il titolo di “fuorilegge” parola che urla e ripete insistentemente, inforcando degli occhiali scuri, indossando il giubbotto di Peter Fonda di “Easy Rider, esibendosi in una mascherata, macchietta dell’outlaw americano, con cappellone,in sottofondo le canzoni di Dylan . Lui è in realtà Lars Nystrom ,un malvivente che vagheggia di correre in auto come Bullit, minaccia “Ricordatevi di Alamo!”,spara, cattura qualche ostaggio e cerca di compiere un’incredibile rapina, reclamando soprattutto il rilascio di un suo vecchio complice. Il suo folle piano prevede la fuga a bordo di una Mustang, fornita dal capo della polizia con il consenso del primo ministro Olof Palme, Il rapinatore negozia i suoi termini per ottenere quanto richiesto. L’episodio, realmente accaduto, come dopo due minuti annunciano i titoli di testa: "basato su una storia assurda ma vera”, è rimasto nella memoria collettiva per quanto successe all’interno di quelle mura nei giorni a seguire. Quando dopo una rocambolesca liberazione, riuscirono a venir fuori dal caveau, affamati, arroventati per il riscaldamento messo al massimo, gasati con i lacrimogeni, gli ostaggi hanno provato solidarietà per i propri carcerieri e biasimo per le forze dell’ordine e le istituzioni, peraltro molto cinici rispetto alla loro incolumità fisica, infatti a operazioni concluse, decisero di non testimoniare contro i rapinatori, in quanto con loro avevano condiviso momenti di ansia e trepidazione, testimoni dei loro dubbi, delle loro paure e  insicurezze. Proprio per descrivere le emozioni che li avevano indotti a  simpatizzare, soprattutto sul piano  emotivo, con i “cattivi” è stata coniata, quella che a tutt’oggi è conosciuta come la “Sindrome di Stoccolma”. Una sorta di dipendenza psicologica paradossale, tra un aggressore e la sua vittima. Il regista Robert Budreau riesce a miscelare sapientemente il mix di storia vera e intrattenimento per una commedia ben costruita, con un’ambientazione accurata ed evocativa.
Oltre alla tensione, si coglie un aspetto caricaturale e intimistico al contempo, con siparietti da "black humor", tali da rendere la situazione tragicomica. L’ostaggio più importante è Bianca, alias Naomi Rapace, che più degli altri viene chiamata a ridisegnare il proprio ruolo, riscoprendosi, un poco alla volta, amica collaborativa di Lars. Nel rapporto tra i due, ci sono i dialoghi più intensi del film, tenera e grottesca la telefonata ai familiari in cui spiega al marito come preparare la cena ai bambini
 Ethan Hawke, nella parte del protagonista recita efficacemente, le sue manie, le sue idiosincrasie ed il suo modo di muoversi, conferiscono al personaggio quell’umanità funzionale alla condizione psicologica che viene descritta. L’ora e mezza in cui la trama si svolge è anche un’opportunità per conoscere un po’ della Scandinavia degli anni 70. Rapina a Stoccolma racconta un evento tanto assurdo quanto reale, che si fa ricordare soprattutto per quel manipolo di persone comuni che, in un giorno come tanti, hanno inconsapevolmente contribuito a scrivere un pezzo di storia.

 

 

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