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Rapina a Stoccolma

Regia di Robert Budreau vedi scheda film

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La recensione su Rapina a Stoccolma

di champagne1
6 stelle

Per chi vuol sapere cosa significa la sindrome di Stoccolma non resta altro da fare che guardare il film ...

 

 

Anni '70, una Stoccolma col pallido sole e una banca austera nonché impreparata ad affrontare una eventuale rapina.

Un moderno cowboy alla Easy Ridder assalta la suddetta banca, ma - invece di fuggire col bottino - sequestra alcuni impiegati e lancia un ultimatum alla Polizia con richieste volutamente esagerate.

 

 

Per poco più di 5 giorni il rapinatore-sequestratore terrà in ostaggio gli impiegati e fronteggerà tutti gli escamotage utilizzati per stanarlo e catturarlo. Il film tenta di descrivere quel perverso percorso per cui gli ostaggi, nonostante i maltrattamenti subiti, arrivano a provare un sentimento positivo nei confronti dell'aggressore, realizzando una sorta di alleanza e solidarietà tra vittime e carnefice.

I meccanismi sfruttati sono la "piacioneria" del fuorilegge (interpretato da Ethan Hawke in modo da renderlo fondamentalmente "buono", solo un po' impulsivo) e la frustrazione femminile della impiegata "anziana" (la co-protagonista Noomi Rapace) alle prese con un imprevisto soffio di vitalità all'interno di una routine metodica e razionale.

 

 

Giocando anche sugli stereotipi sulla inefficienza delle polizie europee, si producono situazioni che appaiono paradossali a causa della l’incapacità di rapinatori e autorità di gestire gli eventi.

Ma è anche la messa in scena dello scontro fra cuore e razionalità, flessibilità e rigidità, produce momenti grotteschi (tipica la scena in cui l'impiegata, a cui viene permesso di chiamare la famiglia, utilizza la telefonata per spiegare al marito come impanare il pesce)

E' comunque un film che si vede fino alla fine, pur conoscendone in anticipo l'esito, grazie anche all'avvio con un flash-back della Rapace a storia evidentemente ormai conclusa.

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