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Il soldato americano

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Il soldato americano

di PompiereFI
6 stelle

Monaco di Baviera.

Tre poliziotti sono seduti intorno a un tavolo, giocano a poker in una stanza fumosa e aspettano un uomo che scopriremo presto essere Ricky, un killer ingaggiato dai tre perché uccida al posto loro malviventi e criminali di varia natura tra i quali uno zingaro, una venditrice di riviste porno col suo amante e… un soggetto che inizialmente non era previsto.

Sarà uno dei poliziotti? Sarà Franz, il vecchio amico d’infanzia di Ricky? Oppure la madre e il fratello di Ricky, testimoni di un passato che il killer intende dimenticare e cancellare?

Terzo e ultimo capitolo concernente un ciclo di film ispirati al genere “noir” francese e americano, “Der amerikanische Soldat” costituisce un esempio tipico della produzione dell’Antiteater fassbinderiana: grande immediatezza nella recitazione, l’attitudine a scegliere un soggetto capriccioso, la considerazione di fattori occasionali e istintivi nello sviluppo della messa in scena e un linguaggio impetuoso ed entusiasta, quasi irruento. 

Il cammino di Fassbinder in questo inizio degli anni ’70 non è privo di difficoltà. Il suo lavoro appare spesso elettrizzato e influenzato dalle cose già viste nei film di genere ma la sua intenzione non è di riprodurle fedelmente, anzi. Le distrugge per poterle rifare ex novo secondo i propri intenti e spesso i risultati sono datati, noiosi e affetti da manie di protagonismo.

L’Antiteater non è più pro-gangster o filoamericano e diventa, a suo modo, “Antigangster” e “Antiamericano” nonostante le numerose scene con bevute di whiskey, le sigarette fumate sotto illuminazioni fortemente contrastate da un ottimo bianco e nero, la lettura dei fumetti di Batman o i poster di Clark Gable alle pareti.

Con questa prospettiva di riferimento al genere, tutto procede di conseguenza.

Ricky e tutti gli altri personaggi si muovono credendo di essere (e in effetti ci sono!) in un film, i volti inerti e i vestiti quasi sempre inappuntabili, sono disincantati e impassibili a qualsiasi sentimento. Fa eccezione a questa tendenza la scena finale, decisamente la più bella di tutto il film: sulle note di “So much tenderness”, una canzone realizzata da Fassbinder, si assiste a una veemente crisi d’amore incestuoso nei confronti di un personaggio ormai cadavere, con rotolamenti di corpi ripresi al ralenty all’interno del deposito bagagli della stazione. Questa sequenza è l’unico momento del film in cui l’emotività scoppia in modo spontaneo.


Palesemente teatrale e impostata è, invece, la scena nella quale Margarethe von Trotta (che qui interpreta una cameriera spinta al facile impulso sessuale) entra nella camera di Ricky mentre questi è impegnato in un amplesso. Margarethe si interpone tra lo spettatore e la visuale del coito raccontando una storia (con un finale diverso) che sarà, 3 anni dopo, il soggetto di un altro film di Fassbinder intitolato “La paura mangia l’anima” e conosciuto anche col titolo di “Tutti lo chiamano Alì”.

“Il soldato americano” è una pellicola nella quale è presente una discussione sul passato; per questi personaggi innaturali e “affiliati” alla Germania del dopoguerra, il passato non ha più memoria, rimane un’astratta nostalgia all’interno di un presente immutabile. Anche Ricky sembra aderire a questa considerazione quando, pur avendo combattuto in Vietnam, non sa trovare differenze tra la giungla bellica e i palazzi di Monaco.

Senza storia e senza prospettive, ai gangster di Fassbinder non rimane altro che fissare carte da poker che raffigurano scene pornografiche, bearsi di quadri alle pareti simboleggianti disegni decisamente spinti e andarsene per sempre, interamente consumati dall’imbecillità cucitagli addosso dal regista tedesco.

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