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Il verdetto

Regia di Richard Eyre vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il verdetto

di alan smithee
7 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

I casi che la vita mette dinanzi alla corte presieduta dalla eminente giudice londinese di diritto familiare Fiona Maye, divengono ogni volta casi esemplari ed arditi, oggetti di polemiche e dibattimenti civico-sociali, laddove la legge è chiamata ad esprimersi e decidere, tramite le vesti della succitata, su enigmi che la razione ed il raziocinio spesso non sono sufficienti per condurre ad una soluzione ragionata e largamente condivisibile.

Problematiche in cui – quasi sempre – il dettame religioso, sia esso cristiano o di altre professioni, inibisce a dar corso a comportamenti apparentemente logici e razionali a cui qualsiasi mente razionale ricorrerebbe senza l’influenza di un diniego che proviene da una cultura che si basa sulla voce della coscienza, o su misteri della fede ai quali la civiltà umana è solita aggrapparsi sin dalla notte dei tempi.

Fatto sta che la separazione di due neonati siamesi, necessaria per salvarne almeno uno dei due altrimenti destinati a morte certa, necessita dell’intervento della tenace donna di legge, come anche il caso ultimo, quello di un testimone di Geova di 17 anni che, malato di leucemia, necessiterebbe di una semplice trasfusione per sperare di guarire, ma i genitori, ferventi praticanti, si oppongono preferendo seguire il dettame, rigido ed inequivocabile, della propria professione di fede.

Fatto sta che questo stare sempre al centro di problematiche etico-morali, se da un lato accende luci sempre più sfavillanti sulla carriera di Fiona, dall’altro costringe la donna ad una vita privata pressoché inesistente, come ormai da tempo cerca di farle notare il paziente marito docente universitario con cui la donna condivide una bella casa londinese, e poco altro, se non qualche ora di letto trascorsa inevitabilmente a recuperare forze vitali spese durante le sue arringhe, seguitissime dai media e foriere ogni volta di nuovi scalpori e colpi di scena.

La vita di Fiona, cinquantenne senza figli, verrà a scuotersi di colpo grazie alla spiccata personalità proprio del ragazzo leucemico, che a sua volta verrà folgorato dall’appeal che la donna, involontariamente, finisce per esercitare sul ragazzo nel letto d’ospedale presso cui la donna accorre per avere la situazione più verosimilmente aggiornata possibile.

Dal romanzo di Ian McEwan, coinvolto anche in sede di riscrittura cinematografica, e la regia forse poco propensa ad ogni tipo di azzardo artistico, ma efficace e di navigato mestiere, ad opera dell’affidabile Richard Eyre (Iris un amore vero, Stage beauty, L’ombra del sospetto), The Children Act – La ballata di Adam Henry, è un film che si illumina in virtù della grazia illuminante del suo cast:

Emma Thompson, superlativa, l’attrice più british del mondo dopo Vanessa Redgrave, e probabilmente la più degna erede di quest’ultima grande interprete, torna a sublimarci dopo forse troppi anni trascorsi ad impegnarsi in ruoli che non riuscivano a valorizzarla come ha sempre meritato: in questo film la Thompson, nel ruolo della Maye, buca letteralmente lo schermo giocando a rimpiattino con una personalità che si giostra abilmente tra la sicurezza quasi chirurgica del giudice impegnato a risolvere dilemmi etico-morali che le scaricano addosso responsabilità pesantissime, arrivando poi ad autodistruggersi ogni volta che le rimane solamente più da gestire un equilibrio personale, familiare e umano solo apparentemente più facile e risolvibile del primo complesso aspetto.

Le girano attorno con grazia innata e carisma di gran classe, sia l’impeccabile Stanley Tucci nel ruolo del marito trascurato per la causa, e per questo leale fedifrago che non si nasconde dietro un dilemma che lo fa soffrire; mentre nel ruolo del giovane diciassettenne malato, afflitto dal dilemma se seguire la ragione o l’etica della propria professione di fede, ritroviamo l’ottimo ed intenso Fionn Whitehead, splendido protagonista di Dunkirk di Nolan.

 

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