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The Post

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su The Post

di Antisistema
7 stelle

Non sono un sostenitore del cinema di Spielberg (per me dovrebbe appendere la macchina da presa al chiodo) e nè attirano il mio interesse gli attori protagonisti (in special modo l'osannata Streep), eppure nella comitiva con cui ero andato a vederlo (affrontando le strade fredde di una Roma innevata), sono stato a dispetto di ogni pronostico l'unico a trovarlo sufficiente, mentre agli altri non é piaciuto per niente.
A dispetto dei vari trailer, The Post è un film corale, tanto che i nomi di Hanks e Streep fungono da specchietto per allodole visto che pur essendo i protagonisti, non sovrastano in screen-time le altre figure. I personaggi sono classici certo, ma funzionali, visto che il regista decide di sfrutarli per veicolare in pieno le sue idee.
Il prologo m'è piaciuto abbastanza poco, o meglio; non m'ha convinto come scelta, visto che avrei optato per un'altra soluzione, poiché Spielberg fa' vedere allo spettatore subito che la guerra in Vietnam è un fallimento. Un regista più ambiguo e sopratutto capace di guardare al passato per filtrarlo nel mondo d'oggi, avrebbe giocato sulla dicotomia tra informazioni vere, false, fake news, manipolazione dei fatti etc... perché ciò che manca in The Post è proprio la voce del popolo. Viene detto che la stampa serve chi è governato... bene, il popolo dove sta? È tenuto clamorosamente fuori da tutto questo e dalla assordante propaganda governativa che lo rincoglionisce con notizie false sul Vietnam. Vediamo per 2-3 inquadrature gli hippy, ma la maggioranza silenziosa dove sta? Eppure essa sosteneva Nixon. Peccato perché queste scelte avrebbero reso questo film pienamente moderno e immerso nei nostri tempi anche se guardava ad un lontano passato.

Interessanti le tre inquadrature fuori la casa bianca in stile thriller complottista; come il miglior Stone. Il potere non lo vedi, non ha volto, ma è ovunque ed in tutto e tutti. Nell'edificio più sicuro ed in vista del mondo, il presidente ordisce complotti e và in paranoia giorno dopo giorno; un accostamento stridente e per questo inquietante. Giusto ribadire come il potere faccia schifo e buono il fatto di accusare tutte le amministrazioni presidenziali (compresa quella dell'ingiustificatamente osannato Kennedy che era uguale a tutti gli altri) di aver mentito al popolo sul Vietnam.
Come stile registico, Spielberg opta per un uso abbondante di piani sequenza orizzontali che seguono un gruppo di giornalisti, per poi focalizzarsi sul singolo, nonchè l'incessante frenesia dell'entrata e dell'uscita dalle porte. Buona la sequenza della stampa dei giornali con gli ingranaggi e l'inchiostro, ma non ho gradito molto la scelta di far tremare la scrivania; la stampa del giornale é un qualcosa che avviene quotidianamente? Perché quindi enfatizzare così? Non stai facendo niente di eccezionale se non svolgere il tuo compito e servire chi è governato (come didascalicamente hai detto svariate volte nel film).
La sequenza migliore è la chiamata a quattro a casa della Streep; ansiogena, asfissiante, confusa (nel senso che vi sono opinioni divergenti che si accavallano e tutte giuste) ma liberatoria visto che il personaggio della Streep acquista la sua coscienza civile andata perduta. In effetti il personaggio di Hanks è la coscienza morale che serve a svegliare dal sonno la coscienza civile del personaggio della Streep, immerso nella vita borghese fatta di feste, illusioni (specialmente sulla presidenza) e conformismo allo status quo. Tutta questa situazione fa' emergere bel finale il suo carattere represso dai suoi colleghi maschili ed urlare in faccia ad investitori ed amministratori le sue idee civili.
Avrei evitato la stucchevole passerella fuori dalla Corte suprema dove solo le donne la guardano ammirata, non m'è piaciuta troppo falsa e retorica ed ammiccante al movimento femminista che impera attualmente in america (e di cui ipocritamente l'attrice che sapeva di tutte le moslestie dei produttori, s'è messa a capo per salvare la sua immagine e carriera dopo qualche accusa da parte di qualcuno). Il coraggio della Streep è un qualcosa che doveva essere al servizio di tutta la nazione e non solo delle donne; mentre la scelta di mostrare quell'immagine, finisce per renderlo partigiano.
Come da tradizione per questo regista, il finale risulta retorico, con le classiche inquadrature sui volti in attesa del verdetto finale della Corte Suprema sulla libertà di stampa e l'enfasi eccessiva sulla sentenza di essa, ma il tutto è riscattato dall'immagine finale della filiera dei giornali in stampa e i nostri due protagonisti che camminano tra i macchinari di stampa. Kay Graham (Streep) e Ben Bradlee (Hanks) sono la vita ed il giornali il DNA; cioè l'informazione... una riflessione interessante con una sola inquadratura. Il finale rende omaggio al "sequel" Tutti gli uomini del presidente di Alan J.Pakula. 


Prima di chiudere il discorso, devo soffermarmi sulla Streep... non mi piace come attrice anche se l'ho vista in pochissimi film (l'apprezzo solo nel Cacciatore è I Ponti di Madison County) e la trovo esaltata troppo dai fanboy e fangirl. Ma per onestà intellettuale devo dire che il doppiaggio era abbastanza osceno e quindi non posso giudicare la sua perfomance.
Ora vorrei dire una cosa, io sono nettamente pro doppiaggio ed in linea generale ascolto un film doppiato (almeno a prima visione) e lo vedo in lingua originale solo se :

- Non ha una versione italiana.
- So che l'adattamento è sbagliato.
- È un film che ha senso solo vederlo in lingua originale per sue peculiarità lingiistico-espressive.
- Il film è un musical.
- Nel film vi è una delle mie 10-15 attrici preferire o 10-15 attori preferiti, allora mi viene voglia di sentirli in originale.

Detto questo, cara Maria Pia di Meo, ti ringrazio sentitamente per il tuo egregio lavoro decennale di doppiaggio di leggendarie attrici come Audrey Hepburn e Shirley Maclaine, ma anche tante altre come Faye Dunaway, Julie Andrews o Julie Christie però... il tempo è passato, queste attrici oggi vedendo la loro carta di identità hanno tutte sui 70-80 anni e la prima è anche defunta da tempo. Ora con tutto il rispetto per la sua onorata carriera, ma se non ce la fa' più a doppiare lasci il posto ad altre doppiatrici, perché Streep non ha neanche 70 anni e con questo doppiaggio sembra una vecchia di oltre 80 in piena fase terminale. Molte volte ero trasportato fuori dal film quando la sentivo. E se lo dico io che non me ne lamento mai...

Che posso dire alla fine? Un compito carino e svolto con diligenza tutto sommato. Avrei evitato il prologo, aggiunto più ambiguità nei protagonisti (Lincoln superiore a questo come film), tolto la passerella finale e ho trovato che le linee narrative della Streep e di Hanks non sempre convergessero o comunque si fondessero tra loro con fluidità. Registicamente è veramente buono (anche se c'è qualche leziosismo di troppo come nel primo dialogo del film con la Streep al tavolo, troppa compiaciuta la regia ed il ritmo cala un casino... forse però m'ha traumatizzato la voce al personaggio della Streep). Un film da vedere una volta visti i tempi, sopratutto se si è fan di Steven Spielberg. Esagerata la nomination a miglior film (troppa genuflessione della critica ufficiale conservatrice verso questo regista) e (probabilmente) l'ennesima nomination della Streep. 

 

Steven Spielberg, Meryl Streep, Tom Hanks

The Post (2017): Steven Spielberg, Meryl Streep, Tom Hanks

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