Regia di Rupert Wyatt vedi scheda film
Per disperazione? per ignavia? per viltà? Nove anni dopo l'invasione aliena gli Stati Uniti sono diventati una colonia in cui le vecchie Autorità collaborano con gli Invasori e li hanno ormai denominati "Legislatori". La struttura amministrativa gestisce la vita pubblica in maniera da salvagurdare un certo tipo di benessere e la stessa Polizia vigila su eventuali rigurgiti di pretesta.
Ma in realtà la forbice fra ricchi e poveri non è mai stata così alta ed esiste una resistenza che cerca difficoltosamente di organizzare un incidente che mini le certezze degli Alieni...
Captive State non parte direttamente in media re, ma ci informa dell'antefatto solo durante lo scorrimento dei titoli di testa.
Rupert Wyatt, regista britannico che ha al suo attivo un prequel fantascientifico come L'Alba del Pianeta delle Scimmie, ama esporre lo spettatore ad uno sguardo straniante che parte dal nostro presente e si dirama poi in un universo alternativo da toni angoscianti e presagi oscuri.
Non so quanto volontariamente, ma qui sembra emergere dall'opera del Regista molto chiaramente la metafora del nostro oggi. Della difficoltà della gente di riconoscere i bisogni collettivi e di pensare sempre più al proprio orticello; per cui se qualcuno ce la sa raccontare bene e ci convince che l'economia è solida, l'occupazione è ai massimi, ognuno può disporre di tante libertà (tranne quelle che intralcerebbero i governanti) e il nemico sono gli altri, ecco che cessa qualunque forma di opposizione, anzi cominciano la guerre intestine.
Con il gioco dei primi piani (in particolare quelli di grande intensità di John Goodman), di alternanze di sequenze lente ed altre dai ritmi intensi (da thriller), in un'atmosfera da "Grande Fratello" in cui la privacy è solo un'illusione e richiami al mondo sotterraneo di "Matrix", il film scorre piacevolmente per tutta la sua durata.
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