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Il lungo giorno finisce

Regia di Terence Davies vedi scheda film

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La recensione su Il lungo giorno finisce

di steno79
8 stelle

L'ultimo film del ciclo autobiografico di Davies è "Il lungo giorno finisce" ("The long day closes", 1992), dove il regista rievoca le sue esperienze fra il 1955-56, anni di transizione fra l'infanzia e l'adolescenza, dopo la morte del padre. "Il lungo giorno finisce" ha molti punti di contatto con "Voci lontane", tanto che qualcuno ha parlato di una specie di remake, ma qui la narrazione è meno frammentata cronologicamente e Davies torna a mettersi in scena attraverso il piccolo Bud, suo alter ego. In particolare, assistiamo al nascente amore di Davies per il cinema, al suo rapporto dolce e affettuoso con la madre, i fratelli e le sorelle, ma anche alla sua solitudine e ai segni inequivocabili di una diversità che però, rispetto alla Trilogia, è solo accennata in un breve episodio, quando Bud fissa dalla finestra un giovane muratore al lavoro, che gli sorride e gli strizza l'occhio con un'aria di complicità. Anche qui Davies dà un posto di grande rilievo alla musica e alle canzoni, che sono affiancate nella colonna sonora a brani di dialoghi tratti da film che, oltre a testimoniare la nascente vocazione cinematografica di Bud-Davies, sono un esempio di come la cultura popolare possa addolcire la vita del protagonista e, più in generale, della working class, che trova in questi elementi una possibilità di evasione dalla triste realtà di tutti i giorni. "Il lungo giorno finisce" si pone come un esempio di "realismo memoriale", perché la Liverpool che vediamo non è quella autentica degli anni Cinquanta, ma una creazione soggettiva del regista a partire dalle sue memorie, con una visione della realtà tipica dell'occhio di un bambino, con ombre più profonde del reale e prospettive deformate secondo una logica iperrealistica, ad esempio con strade e marciapiedi di proporzioni maggiori di quelli veri. Così, l'obiettivo del film non è quello di ricreare la realtà storica di allora, ma solo quello di mostrarci, attraverso le emozioni e le sensazioni di Bud, quello che era il punto di vista di allora sul mondo di Davies. La memoria si colora di nostalgia e diventa un miscuglio di fantasia e sogni, di possibilità e ipotesi che sono vere quanto gli eventi quotidiani, cosicché talvolta in una stessa sequenza si passa con naturalezza dal dato realistico a quello fantastico. Rispetto a "Voci lontane" la macchina da presa è più mobile e compie lunghe carrellate laterali ad accompagnare Bud nelle sue peregrinazioni per Liverpool; talvolta vi sono veri pezzi di virtuosismo, come nella sequenza in cui, con una plongée dall'alto e grazie a una serie di dissolvenze incrociate, la macchina da presa parte da Bud che gioca nel cortile di casa e poi passa in un cinema, in una chiesa durante una messa, in un'aula scolastica, e poi di nuovo al punto di partenza, il tutto commentato dalle note di "Tammy" cantata da Debbie Reynolds. Qui gli elementi che circoscrivono l'universo di Bud sono come magicamente fusi in un luogo unico, passando dalla solitudine del protagonista a una prospettiva sociale più ampia, e facendoci intuire come per lui il cinema sia un'evasione di sogno dalla monotona routine quotidiana, la chiesa un luogo dove il rituale della Messa trasmette allo stesso tempo un fascino mistico e un carattere di dura costrizione alle sue regole, e la scuola, infine, il posto dove trionfa lo sterile formalismo dei professori e il sadismo dei suoi compagni (che, come in "Children", lo picchiano e lo chiamano "finocchio").
voto 8/10

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