Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Curioso caso di film di spionaggio nel quale gli eventi reali finirono per intrecciarsi con quelli fittizi al punto da forzare continue riscritture di sceneggiatura. I soliti, ottimi spunti hitchcockiani, omnipresenti, risultano così un po' annacquati dalle necessità politiche del momento.
“Il prigioniero di Amsterdam”, secondo film realizzato da Hitchcock a Hollywood dopo “Rebecca”, non è passato certo alla storia come uno dei migliori film del Maestro, eppure un record lo detiene: quello di offrire allo spettatore un mix più unico che raro di finzione e realtà. Siamo infatti nel 1940 e gli eventi reali, con la guerra ormai alle porte del Regno Unito, andavano intrecciandosi alla storia inventata al punto da forzare (o spingere, quanto meno) i produttori a chiedere al pool di sceneggiatori continue modifiche del testo pur di restare aderenti alla realtà. Quasi un reality show a sfondo geopolitico, insomma. La qualità dell'opera risente certamente di tali necessità 'politiche', che con l'arte avrebbero in fondo poco a che spartire, e i consueti ottimi spunti di Hitch nella costruzione di trama e suspence finiscono col risultare annacquati in un forzato didatticismo che sfiora la propaganda dura e pura. Anzi, a tal proposito il celebre (o famigerato) Goebbels etichettò il film proprio come un capolavoro di propaganda politica del nemico. La pellicola ricevette la nomination all'Oscar come miglior film, premio che curiosamente andò a parare comunque nelle mani di Hitchcock per l'eccellente “Rebecca”, ma -faccio un po' di sana dietrologia- direi trattarsi di una candidatura meramente 'patriottica'. Altra nominaton, quella come miglior attore non protagonista, la ricevette Albert Bassermann per la sua interpretazione del filantropo Van Meer, e anche questa fu una candidatura curiosa in quanto Bassermann in realtà neanche parlava inglese.
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