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I cavalieri del Nord Ovest

Regia di John Ford vedi scheda film

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La recensione su I cavalieri del Nord Ovest

di FABIO1971
8 stelle

"Oggi esco con le truppe. I Cheyenne sono in giro, perciò prenderò lo squadrone e darò un'occhiatina a nord. Forse sarà la mia ultima missione. Sembra impossibile: in pensione...".
[John Wayne davanti alla tomba della moglie]

L'incipit di I cavalieri del Nord Ovest (in originale She Wore a Yellow Ribbon, dal titolo dell'omonima ballata divenuta l'inno della cavalleria americana), affidato alla voce fuori campo, tratteggia (nei toni pomposi e retorici del doppiaggio italiano) la cornice storica della vicenda: "Il generale Custer è caduto e con lui, intorno all'insanguinato stendardo dell'eroico Settimo reggimento di cavalleria, giacciono 212 valorosi. Gli indiani Sioux e Cheyenne sono sul sentiero di guerra. Il telegrafo militare trasmette la notizia del massacro di Custer e dei suoi prodi soldati alle terre del Sud, i cavalli vengono frustati a sangue affinchè l'allarme giunga in tempo alle fattorie minacciate dagli insorti. I pionieri sanno che se non si uniscono tutti in uno sforzo comune ci vorranno anni e anni prima che un altro uomo bianco possa tornare a vivere in queste terre ribelli. E dalla frontiera del Canada fino al Rio Bravo diecimila indiani, Kiowa, Comanche, Arapaho, Sioux e Apache, al comando di Toro Seduto, di Cavallo Selvaggio, di Aquila Temeraria e di Corvo Reale, si sono alleati e sono scesi in campo contro le forze degli Stati Uniti. E negli isolati avamposti, dovunque venga issata la bandiera stellata, c'è un uomo, un ufficiale, che dovrà sguainare la spada". L'ufficiale è il capitano Nathan Brittles (John Wayne), che a sei giorni dalla sospirata pensione si ritrova a dover difendere i suoi soldati, guidati da un giovane ed inesperto comandante, dalle scorribande degli indiani. Secondo capitolo della trilogia militare di John Ford, I cavalieri del Nord Ovest ne costituisce il contraltare più dolente e poetico, sospeso tra l'Epica solenne di Il massacro di Fort Apache e la romantica leggerezza di Rio Bravo: tra memorabili sequenze (Wayne sulla tomba della moglie) e stilizzazioni simboliche (il tramonto...), Ford contamina le atmosfere crepuscolari in cui sono immerse le gesta dei suoi eroi sovraccaricandole di un angosciante senso di minaccia incombente. Rispetto al film precedente, inoltre, Ford registra con maggiore efficacia il controcanto ironico con cui sceglie di stemperare le tensioni della vicenda, depurandolo dagli eccessi più macchiettistici (si osservi, ad esempio, l'irresistibile sequenza in cui Wayne inoltra il formale ed inutile rifiuto scritto a scortare lontano dal forte la moglie e la nipote del comandante) e trasformandolo in un commosso canto d'amore alla "sua" Monument Valley, finalmente ammantata dai suoi scintillanti colori (con la straordinaria fotografia di Winton C. Hoch premiata con l'Oscar). Magnifica la colonna sonora di Richard Hageman e superbo il cast d'interpreti (da Wayne a Joanne Dru, da Ben Johnson a Victor McLaglen, da John Agar a Harry Carey jr.).

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