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L'ultima tempesta

Regia di Peter Greenaway vedi scheda film

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La recensione su L'ultima tempesta

di OGM
10 stelle

Atmosfere manieriste per una lotta tra il bene e il male declinata nel linguaggio aspro ed icastico della mitologia pagana. La "tempesta" è la furia degli elementi che si trasforma nella danza delle passioni umane, un turbine che le composte attività dell'arte e della sapienza non riescono a contenere, ma solo a sublimare e tramandare. Il contrasto principale è quello tra il fragoroso esercizio del potere e la quieta e silenziosa pratica dello studio; il naufragio significa, da un lato, per l'erudito Prospero, l'eremitaggio che procura la salvezza dello spirito, dall'altro, per il fratello usurpatore ed il suo seguito, l'esilio che comporta la condanna della carne assetata di dominio. L'isola è una sorta di paradiso/inferno, relegato ai margini del mondo, verso il quale i vari personaggi sono stati sospinti dal mare, che è sede delle trame del destino, nonché simbolo della potenza del Dio cristiano, mai espressamente invocato, eppure sempre sottinteso. È Lui il remoto ispiratore dello sforzo di conoscere, di quella storica ricerca di una verità universale che è raccolta, in un voluminoso corpus del sapere, nella biblioteca di Prospero. L'enciclopedismo va a braccetto con l'utopia, con il sogno di una società ideale che è la controparte "laica" del Regno dei Cieli. Il lontano traguardo è l'onniscienza, che imbocca la scorciatoia dell'occultismo per impadronirsi del soprannaturale, e vincere sulle disordinate forze del creato. Calibano, figlio della strega, è l'incarnazione dell'istinto da dominare, e vive nel buio, nascosto dal caotico rigoglio della vegetazione selvaggia, immerso in un'oscurità che rappresenta la cecità dell'odio e dell'avidità, e la clandestinità dentro cui si rifugiano i vigliacchi e i traditori. Le scene luminose del film sono invece esteticamente organizzate secondo precise architetture e coreografie, con solari profondità prospettiche, piene di grano, frutti, fiori, cavalli bianchi, e attraversate da voli acrobatici ed equilibrismi, a simboleggiare la fertile lungimiranza della disciplina, che è pazienza nella fatica, e si coniuga con l'amore inteso come sacrificio e devozione. Peter Greenaway carica il suo film di un decorativismo estremo, spesso sovraffollato di corpi nudi e, a tratti, straripante, che fa da plastico contrappeso alla verbosità irruente del testo shakespeariano, realizzando uno splendido equilibrio tra parole e immagini. Quando si dice: il cinema allo stato puro.

Cosa cambierei

Il titolo della versione italiana, un po' fuorviante rispetto al reale soggetto del film.

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