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La forma dell'acqua

Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film

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La recensione su La forma dell'acqua

di Ascasubi
8 stelle

Elisa (Sally Hawkings) ha l’atteggiamento discreto e pacato proprio delle persone mute, capelli corvini, lineamenti duri ma preziosi - quasi unici, la faccia dall’età indefinibile, di quelle che invecchiano presto o non invecchiano mai. Vive in un mondo che sembra un luna park: poche luci, ma tante suggestioni anni ’50 in un’America gonfia di estrogeni del consumismo, fatta di cromature e forme invitanti, siano esse meccaniche, siano esse gastronomiche; qui le televisioni e gli schermi cinematografici rimandano brandelli di film in un’unica catena arlecchinesca che sembra volere competere in irrealtà col mondo nel quale vuole prorompere. E l’irrealtà di questo mondo non tarda a mostrare i suoi connotati nella forma di un mostro, metà uomo e metà pesce ingabbiato nella piscina-prigione di un centro ricerche statale. 

Non è una scoperta avventurosa quella di Elisa, vede per la prima volta questa creatura nel pieno dello svolgimento del suo lavoro, quello di addetta alle pulizie; sembra quasi, anzi, che la presenza dell’uomo pesce non debba destare il clamore della sorpresa, ma soltanto il dovere del riserbo di chi è impegnato in un lavoro normale in un contesto straordinario. Ma Elisa non si ciba né di sorprese né di senso del dovere, ma di curiosità e di amore - quello che ispira una creatura feroce ma indifesa, sola come lei e diversa più di lei.

 

Per la verità non vi sono graduatorie, Guillermo del Toro propone invece l’uniformità degli esclusi, dei diversi. C’è la macroscopica e surreale diversità dell’uomo pesce modellato secondo le fattezze suggestive del Mostro della Laguna, ma c’è anche la tenera e sincera vita della differentemente abile Elisa; c’è l’America delle seconde e terze file, quella dell’amica e collega di Elisa, Zelda, rappresentante dei back-door-man di colore, che lavorano ma non hanno accesso all’opulenza del loro stesso paese; c’è, infine, la solitudine dell'omosessuale - nella fattispecie quella del compagno di casa della protagonista - che non deve esistere, che non deve disturbare l’esistenza delle famiglie “vere” del sogno americano (limitandosi a rappresentarle in disegno nella loro eterna e fiabesca felicità).

Come suo costume, il regista ci riporta alla realtà anche attraverso l’affresco politico, un quadro grottesco e pertanto tutt’altro che bonario, men che meno assolutorio. Qui la guerra fredda è rappresentata come uno scontro vuoto tra i due colori della scacchiera. Niente valori ma solo obiettivi da raggiungere usando senza riserva di pudore cinismo e tracotanza. L’uomo pesce non è un essere vivente, ma solo un progetto spendibile nel testa a testa tra le due potenze nella conquista dello spazio. A gestire codesto progetto - ed in competizione coi russi, che hanno già infiltrato una spia - il colonnello Strickland, uomo anaffettivo incapace di divertirsi e persino di desiderare. Il suo ruolo è modellato con la creta della paura, ma i suoi avversari ignoti, i russi, non brillano per intelligenza e neanche per limpidezza d’intenti. Strickland è una macchina, rabbiosa, ma pur sempre una macchina con le fattezze scolpite e sorprendenti di un fumetto.

Ed è proprio il quid estetico a rappresentare la vera sorpresa del film: la scenografia, la fotografia sono condotte con una precisione che trascende la verità di quegli anni portandoci non negli anni 50 ma, consapevolmente, in un prototipo di essi. Le inquadrature vicine, iperrealiste, dal basso in alto sembrano assorbirci. Ci sono tante piccole astuzie o se vogliamo enigmi visivi, per cui si brandisce il (neonato?) telecomando con la familiare e compulsiva insistenza di uno smartphone. Tutti ce l’hanno, come in un presagio del futuro.

Ma Del Toro costruisce anche i tipi umani, e l’uomo pesce rientra tra questi. Lo si ama per il progresso dei suoi rapporti con gli amici che lo traggono in salvo, per la sua curiosità, per la sua innocenza, per la sua crescente consapevolezza. Ed amiamo anche Elisa: non c’è consacrazione migliore per questa attrice, forse mai stata un modello di avvenenza ma, almeno in questo film, un esempio di fascino: “non riesco a capire, sei brutta, ma non riesco a resisterti”, dice Strickland tentando una molestia verso una povera inserviente. E’ il fascino discreto ma irresistibile degli umili, quello che i prepotenti non potranno mai stringere ne capire. 

 

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