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Il cavaliere della valle solitaria

Regia di George Stevens vedi scheda film

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La recensione su Il cavaliere della valle solitaria

di tafo
8 stelle

La prima volta che lo vidi rimasi deluso, erano anni in cui il morbo di Eastwood mi aveva devastato l'immaginario, il confronto tra Shane e il pistolero senza nome di Leone appariva impietoso. Oggi dopo molte iniezioni di western classici e non, ho capito e pur mantenendo un paragone inconscio e automatico con il cavaliere solitario di Leone, questo film recuperava nel mio immaginario il posto riservato ai grandi western. La storia dell'eroe solitario dal passato complicato ma trasparente che passa fà il suo lavoro nel presente e poi scompare l'abbiamo vista molte volte  e non solo nel western. Lo stesso Pasolini nel suo Teorema utilizzerà Terence Stamp come uno Shane sessantottino pronto a liberare la morale borghese sconvolgendo con il suo passaggio la sacra famiglia. Anche qui gli equilibri della famigli Starrett vacillano, lo sguardo della sigonra verso Shane è subito carico e profondo come le inquadrature bellissime ed estese come mai nessun 3D riuscirà ad essere. Anche il figlio si affezziona subito a Shane,chissà quante cose gli potrà insegnare e quante storie gli potrà raccontare se riesce a convincerlo a restare. Il capofamiglia ha bisogno di altre due braccia nella fattoria e anche di una pistola che può difenderlo dalle minacce del grande allevatore di turno che vuole cacciarlo dalla sua terra. Shane vorrebbe liberarsi dal suo ruolo di eroe, ma capisce subito di essere l'unico che può tenere testa al nemico per salvare l'integrità affettiva ed economica della famiglia che lo ha accolto. Rinnegare il proprio passato significherebbe diventare un contadino , il suo compito è quello di eroe positivo che difende le ragioni dei deboli, che usa pugni e pistole per salvare il modello americano di felicità. Shane è destinato a fare l'eroe e poi sparire senza troppe spiegazioni così come era arrivato. Lo scontro sociale tra allevatori nomadi grandi affamati di spazio nella prateria e agricoltori stanziali alla rIcerca della loro piccola felicità è il segno che negli Stati Uniti post seconda guerra mondiale ( il libro è del 1949) c'è ancora bisogno di eroi e di piccole comunità. Il grande paese è diventato ufficialmente il centro del mondo ma al cinema la purezza del piccolo capitale con l'aiuto di uomini forse mandati dalla provvidenza  trionfa  ancora sul grande capitale. L'unico punto debole rimane la scazzottata nel saloon troppo scanzonata, i duelli armati sono perfetti e belli nella loro essenzialità. il paesaggio rimane l'arma migliore del film ti fà sentire tutta la profondità dove arriva la voce anche se non vedi muovere le labbra dando quasi la senzazione del fuori sincrono.
In definitiva un racconto mitologico sulla figura dell'eroe solitario e ambiguo, attratto dalla stabilità della famiglia e del lavoro anche se alla fine destinato alla purezza della solitudine.  

Su George Stevens

ha girato un solo western ma si è guadagnato un posto nella storia del genere.

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