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Vaghe stelle dell'orsa

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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La recensione su Vaghe stelle dell'orsa

di sasso67
8 stelle

I riferimenti ammessi (fin dal titolo quello alle “Ricordanze”) o negati (il dannunziano “Forse che sì forse che no”, di argomento ed ambientazione simili) da Visconti sono molteplici. Le allusioni, che oggi potremmo definire subliminali, sono altrettante, a cominciare dall’ambientazione volterrana, in quella che fu una delle principali città degli Etruschi, civiltà assai legata al culto dei morti; così come la cittadina toscana giace sull’orlo di una frana che da secoli avanza progressivamente (le Balze), mangiandosi vecchi edifici soprattutto religiosi; tra i richiami vi è poi la nota scena nella quale Gianni s’impossessa dell’anello nuziale della sorella, che pare un rimando al racconto “La Venere d’Ille” di Merimée, rimando accentuato dalla zoomata sull’anulare di Gianni che, la sera della cena con Gilardini, porta ancora infilata la fede di Sandra. Leggendo il celebre canto leopardiano si ritrovano molte delle suggestioni del film di Visconti: dall’infanzia vissuta in un palazzo, dove, tra i rumori del lavoro della servitù, i giovani protagonisti coltivavano le loro speranze per il futuro, e dove queste speranze sono state disilluse, con il disprezzo, forse reciproco, del “natio borgo selvaggio”. In più, in questo film dalle ascendenze fortemente letterarie (seppure, a differenza delle opere precedenti del regista milanese, non direttamente derivato da un’opera narrativa o teatrale), ci sono, fortissimi, il tema dell’incesto, quello del tradimento (Sandra avrebbe dovuto rappresentare un personaggio simile all’Elettra sofoclea), quello della follia e quello della persecuzione nazista, che contribuiscono, tutti insieme, a creare un clima torbido e malaticcio, che contamina il mondo della famiglia dei protagonisti, contrapposto alle maniere spicce, tipiche degli americani come Andrew, di risolvere le questioni. A distanza di tanti anni, “Vaghe stelle dell’orsa”, che suscitò tante polemiche per l’immeritata attribuzione di un Leone d’oro (che non ottennero i più meritevoli “Rocco e i suoi fratelli” e “Il Gattopardo”) alla Mostra di Venezia, mi sembra un film riuscito, nonostante che la Cardinale, eccezionalmente bella, abbia un modo di recitare che la rende un corpo estraneo rispetto al quadro d’insieme. I personaggi maschili si somigliano un po’ tutti, così come somigliano molto ad altre due icone viscontiane come Alain Delon e Helmut Berger.

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