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Ready Player One

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Tiaz gasolio

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ready Player One

di Tiaz gasolio
4 stelle

Ready Player One - La Recessione.
Steven Spielberg è indubbiamente uno dei registi che ha fatto più sognare le ultime generazioni. Da quando, nel lontanissimo '93, mi ha fatto vedere i dinosauri "dal vivo" in Jurassic Park, rendendo quello che per un bambino era solo un sogno una tangibile realtà - ok, ok, non così tangibile, ma almeno visibile e credibile - difficilmente ha toppato una pellicola, e il suo nome è sempre stato per me una garanzia di qualità. Ci ha fatti sognare con le avventure di Indiana Jones (dimentichiamo il Teschio di Cristallo), ci ha parlato di guerra con Salvate il Soldato Ryan e Schindler's List, ha confezionato anche fiabe come il GGG... in pratica non si può dire che la maggior parte delle sue produzioni non sia di buon livello. Mr. Spielberg è un tale instancabile lavoratore che, nel 2018, ha deciso di tornare alla fantascienza proponendoci Ready Playr One. La pellicola si apre subito spiegandoci che ci troviamo in un futuro dove la demenza ha colpito la maggior parte della popolazione e, visto che la realtà è una merda, la maggior parte della gente passa il tempo a giocare a un portale online che ha al suo interno diversi giochi, dallo sparatutto a Minecraft. Inutile sottolineare che per partecipare a questi giochi è necessaria una semplice interfaccia di realtà virtuale, quindi occhialini e guanti alla mano ci viene introdotto il nostro eroe/protagonista Wade Watts, aKa Parzival, interpretato da Tye Sheridan, che è un po' la versione giovane e sfigata di Tom hardy. Di questo ragazzo non sapremo mai niente di significativo, se non che era figlio di genitori rincoglioniti che si sono indebitati per giocare ai videogiochi e che alla loro morte è stato affidato alla zia con fidanzato di merda. Per quaranta minuti ci subiamo un mega-spiegone su come è il mondo virtuale, chi è il suo unico amico, ecc. ecc., e subito balza all'occhio una cosa strana: come mai in questo mondo tutti hanno gli avatar normali? Insomma, se siete anche solo un minimo dei videogiocatori, saprete che quando si creano gli avatar negli RPG si tende di solito a farci una controparte o strafiga da morire, tipo drago alato con sei braccia e tre peni, oppure ridicola abbestia. Invece il nostro protagonista al contrario ha un sobrio avatar che ricorda un po' gli elfi fantasy che spruzza sfiga da tutti i pori. Ma parliamo di cose serie. Quale è il movente che porta tutta questa gente a spendere ore e ore attaccati al gioco? I soldi e il potere, come ovvio, che in questo caso hanno la forma di tre chiavi che il super mega direttore programmatore inventore del gioco ha nascosto al suo interno. Per trovarle i concorrenti devono scandagliare la vita del celebre autore in cerca di indizi da sfruttare nel gioco per trovare le chiavi a mo' di Easter Eggs. Chi troverà tutte le chiavi diventerà padrone del gioco e dell'azienda. In questo modo il creatore ha creato un culto della propria persona ed eliminato tutto la cultura prodotta dalla specie umana post '92. Ma come, eliminato la cultura?, direte voi. Ebbene sì. In tutta la pellicola i giocatori ascolteranno sempre e solo musica anni '80 e si interfacceranno con oggetti telematici per la maggior parte presi dal calderone videoludico degli anni '80 e primi '90. È possibile che a nessuno, e dico nessuno, stia sul cazzo questo revival anni '80 e se ne fotta e ascolti qualcosa prodotto dopo l'anno 2000? Capisco da appassionato videogiocatore metallaro degli anni '80 che questa cosa possa gasare per qualche minuto e che immaginare un mondo fermo culturalmente all'86 sia un sogno, ma dopo un po' il tutto sembra un po' inverosimile, soprattutto se stiamo parlando di una società di involuti che si spende tutto in videogiochi. Com'è possibile che in un mondo di rincoglioniti non ci sia un minorenne tatuato in faccia che spara cagate in un microfono e fa i soldi come musicista seguito da un miliardo di persone? Ma, sorvolando sull'aspetto culturale della società, poteva mancare una storia d'amore in un film ammerdicano studiato per incassare al botteghino? Certo che no, e il nostro protagonista si innamora di Samantha "Sam" Cook, Aka Art3mis, anche lei l'unica giocatrice al mondo ad avere l'avatar di una sexy fighetta e non essere un sessantenne di colore sovrappeso con la tendinite da masturbazione. La giovane Samantha ha però un grave difetto fisico che la porta a nascondersi dalla società; cioè, è veramente una bella gnocca, che però ha un indicibile difetto. È storpia? Le mancano gli arti? Insomma, quale sarà mai? È paraplegica? È orribilmente sfigurata, è coprofaga? No, niente di tutto questo. La giovane Samantha è un povero fighino da competizione estremo con una leggera voglia sull'occhio destro, così leggera che lo spettatore medio sotto i 21 anni non se ne accorge perché ha la vista annebbiata dalla tempesta ormonale. La storia d'amore tra i due si sviluppa nella trama in una maniera così banale da risultare praticamente dimenticabile dopo tre secondi dalla fine del film. Come ovvio in una pellicola non possono mancare i cattivoni ed anche qui abbiamo la fiera dello stereotipo inutile perché, sentite bene, il cattivo di turno è a capo di una mega-multinazionale chiama 101 (schematizzato su tutti i loro mezzi per sembrare la scritta LOL); questa multinazionale che fattura miliardi con tanto di capo che spende e spande a destra a sinistra regalando praticamente pachettate di grano, finanziando frotte di giocatori e spedendo cifre inverosimili, fa tutto questo solo per? Dominare il mondo controllando le menti dei giocatori? Distruggere la società chiudendo i server? No, questi cattivissimi vogliono aggiungere delle pubblicità nel campo visivo. Ricapitoliamo: una società già apertamente multimiliardaria paga centinaia di persone per risolvere un gioco solo per aggiungere delle pubblicità. Ma un bel va a cagare! Hanno soldi per comprarsela, 'sta società di merda, che gli fotte di quattro quattrini in più? Veniamo all'epilogo di questa storia. Dopo svariate peripezie dove viene messo in risalto il vero pregio di questo film, ovvero la computer grafica di altissimo livello che non delude neanche per un secondo, i due amanti finiscono il gioco aiutati dagli amici super stereotipati (come esempio basta il bambino giapponese samurai che conosce le arti marziali anche nella vita reale semplicemente perché asiatico). Alla fine veniamo a scoprire che il vero messaggio che vuole lanciare il creatore è che la cosa più importante è l'amicizia. Sì, l'amicizia, perché un po' di fantasia in più è meglio non usarla e rimanere sui concetti tanto cari ai milioni di film prodotti per gli adolescenti negli anni '80. Ma la cosa più sconcertante è che una volta diventati capi del gioco i protagonisti decidono che per due gironi alla settimana, il martedì ed il giovedì, il gioco rimarrà chiuso perché la vita reale è meglio!! Ma un bel vaffanculo!! E se non lavoro proprio quei due cazzo di giorni alla settimana, sono costretto a passarli con gli stronzi dei miei vicini?!?!? In conclusione, Ready Player One è un film sugli easter eggs progettato e filmato per distrarre lo spettatore con tantissimi easter egg inseriti in ogni fotogramma a profusione, così tanto che per quasi tutto il film passerete il tempo a distrarvi, impegnati a riconoscerli, tralasciando il fatto che in questa pellicola praticante non c'è una trama, i personaggi sono scritti solo superficialmente ed in maniera molto marginale, tanto da non fregartene della loro sorte o delle loro azioni. I casi quindi sono due: o Steven Spielberg voleva prenderci per il culo facendo un film sugli easter egg strapieno di easter egg e senza praticamente una cazzo di trama, oppure ha fatto solo un film di merda scritto da persone che hanno visto i videogiochi solo dalle consolle dei figli che non hanno idea di cosa sia il mondo videoludico a parte una ammasso di personaggi colorati che rimbalzano sullo schermo.
per insulti anche non costruttivi.
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