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Ready Player One

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Ready Player One

di lussemburgo
9 stelle

Novello Matrix postmoderno, il più recente film di Spielberg porta a compimento quel recupero nostalgico degli Anni 80 inaugurato da Super 8 di Abrams (da lui coprodotto) e proseguito in un filone ormai quasi inestinguibile di serie e di film che vanno da Stranger Things ai Guardiani della Galassia, passando per Deutschland 83 o per lo stesso revival di Star Wars, così come dai reboot quali Ghostbusters o Mad Max e dai rifacimenti, sia televisivi che cinematografici, di titoli ormai classici come Blade Runner, o poco più recenti quali X-Files o Twin Peaks. Ma il film di Spielberg si propone come una summa di tutti i riferimenti incrociati possibili e crea il paradiso nerd di una realtà virtuale talmente ampia ed avviluppata da inglobare indifferentemente tutto il passato pop conosciuto, un universo espanso totalizzante e talmente immersivo da risultare alternativo alla vita reale, con cui in interfaccia per meri motivi fisici.

Come in Matrix esistono due mondi separati, sebbene qui persista la piena consapevolezza della differenza tanto che, anche registicamente, il versante reale è interpretato da veri attori mentre quello virtuale, gestito da leggi che prescindono dalla fisica, da avatar e fondali CGI. Funzionale ad una fuga dallo squallore ambiente, Oasis è un gioco universale senza evidenti fini di lucro, uno strumento di distrazione di massa per una positiva alienazione e integrazione edulcorata alla realtà. Alla morte del suo ideatore Halliday, un Jobs infantile e gentile interpretato da Mark Rylance, feticcio dell’ultima produzione Spielberg (GGG, Il Ponte delle Spie), la multinazionale IOI tenta di impossessarsi delle chiavi del gioco, lasciate in eredità dal creatore al campione che supererà le sfide imposte da Oasis, per trasformare quella realtà alternativa in mero strumento di costrizione volontaria in cui ogni azione e sguardo si trasformino in guadagno per la compagnia. Entrambi gli universi narrativi sono studiati per soggiogare le persone: nella creazione delle Wachowski gli umani sono batterie per alimentare le Macchine, onnipotenti intelligenze artificiali che hanno soggiogato il pianeta e i suoi abitanti, i quali vengono mantenuti in vita con l’illusione della normalità; nel film di Spielberg le persone si alienano in una finzione costante visibilmente artificiale che, negli auspici della IOI, ne monetizzerà il comportamento e l’attenzione a puri fini di lucro.

In questo futuro di diffusa povertà, baraccopoli onnipresenti di trailer park verticali e proletariato come unica classe sociale priva di ambizioni di riscossa, le risorse mentali e fisiche vengono riservate alla fuga in Osasis, un inferno di dipendenza per gli adulti e un paradiso di evasione per gli adolescenti. Rifacendosi al plot di Goonies (o alla sua versione dark in Stand By Me), con una banda di ragazzi alla ricerca di un tesoro nascosto , Ready Player One è la celebrazione del nerd, della competenza volontaria e appassionata per un argomento specifico e dell’abilità videoludica trasformata in filosofia di vita. Nelle cangianti vesti di Parzival e dei suoi accoliti attraversiamo l’intero universo di riferimento del creatore del gioco, adolescente in quegli Anni 80 che hanno modellato un immaginario collettivo pesantemente influenzato dallo stesso Spielberg (che, in fondo, in quel demiurgo divertito si immedesima, condividendone anche il berretto da baseball e i vestiti dimessi), con una carrellata lisergica e spettacolare senza fine, come le montagne russe dell’inestinguibile piano sequenza di Tintin che trascinano senza tregua lo sguardo e l'interesse. Con l’andamento da road movie immobile, con l’unità fisica di luogo di un corpo obbligatoriamente fermo nella fruizione (del film per lo spettatore e del gioco per i personaggi) corrisponde la dissipazione dello spazio fantastico nel gioco e la visione di mondi costantemente in evoluzione. Lo spettatore è catturato da un parco giochi senza tema specifico (se non la nostalgia) e con continui salti da un’attrazione all’altra, la vertigine dei sensi è continuamente stimolata dalla percezione (più che dalla vista) di riferimenti e citazioni, da un’overdose di ammiccamenti e rimandi, di cliché diventati classici che riprendono vita nel caos di un sogno ad occhi aperti che vola da Ritorno al Futuro ai film di Hughes, dal cubo di Rubik al Gigante di Ferro e tutto quanto sia possibile mostrare o a cui far accenno.

Ma Spielberg è, innanzitutto, un cinefilo e una delle sequenze più belle permette di entrare dentro Shining, ricostruito con la genialità dell’originalità digitale che permette variazioni sul tema, ripercorrendone le sequenze come in un viaggio in un territorio noto ma misterioso, perché soggetto a modifiche in base alle scelte dell’esploratore. Il film di Kubrick diventa un terreno di gioco virtuale, fedele all’originale e del tutto rispettoso del suo valore (ovvero l’atteggiamento di Abrams verso il mondo di Star Wars con l’incipit della nuova trilogia), ma dove hanno spazio ulteriori scoperte e trasformazioni, da analizzare e scandagliare con il rispetto e l’attenzione di un diverso punto di vista, con l’atteggiamento di un esegeta o di un giocatore. Perché i nerd protagonisti non sono semplici esecutori di una parte già scritta bensì, anche, degli specialisti capaci di studiare ed approfondire aspetti inediti di un’opera, dei critici oltre che degli spettatori, amatori mai amateur o principianti che, proprio per la passione della competenza, riescono a districarsi nei meandri del mistero imposto e a risolvere gli enigmi architettati dall’artefice del gioco coi suoi easter egg nascosti nei diversi strati della narrazione.

Così la ricerca delle chiavi fisiche verso livelli inediti di gioco si attua attraverso la conquista di nuove chiavi di lettura del gioco stesso, di inedite interpretazione delle intenzioni del suo artefice, diventano, cioè, chiavi di accesso ad una nuova consapevolezza anche per gli altri utenti del gioco che seguono, in diretta, le avventure degli avatar protagonisti e delle loro incarnazioni in lotta con nemici ben più numerosi e potenti. Spettacolare anche dal punto di vista metanarrativo, Ready Player One, pur nell’asprezza della prospettiva di una realtà alienata e oppressa, offre la speranza di una rivalsa, la chimera di una liberazione dal giogo videoludico in cui il messaggio della narrazione di Oasis venga percepito nella sua essenza di prospettiva rivoluzionaria, di acquisizione di conoscenza e, pertanto, del potere di discernimento tra materialità e creazione, tra verità e fake news nella prospettiva di potersi togliere la mascherina virtuale per entrare nella realtà e combattere per la propria indipendenza.

Non si tratta di far tabula rasa di ogni residuo passato ma di riorganizzarlo in modo efficace, di fare del nerd un eroe perché ha trasformato la competenza in conoscenza e l’ha trasferita nel mondo reale, modificandolo. Ed era questo, probabilmente, il sogno del giovane Spielberg o di ogni aspirante artista, di dar vita ad un mondo nel mondo, far confluire vita e fantasia, il lavoro con l’arte. L’utopia, a dispetto delle premesse, fa breccia nella distopia e, come sempre, un senso progressista si fa largo nel cinema di Spielberg che, coerentemente con il lavoro precedente, The Post, sebbene con ben diversa modalità, rielabora il passato (là storico, qui iconico, ma la differenza è labile) per fornire chiavi di lettura del presente ed esempi di comportamento virtuoso. Spielberg cerca sempre un barlume di speranza o ne indica la via, manifestando quell’apparente indefesso ottimismo che in molti gli rimproverano tacciandolo di infantilismo, spesso dimenticando però la crudezza di uno sguardo (incrementata da quando la fotografia è di Janusz Kaminski) che privilegia invece la disillusione e il realismo, la crudeltà e l’amarezza di vite sprecate e di società ingiuste e che, molto spesso, si congeda dallo spettatore con forti ed inquiete dissonanze che dissipano la favola in una affabulazione più complessa e articolata.

 

 

 

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