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Io sono Tempesta

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su Io sono Tempesta

di Ascasubi
4 stelle

Quando la ricchezza non deve rimanere celata si manifesta in maniera singolare e, talvolta, persino elegante. Un hotel di lusso vuoto, ma funzionante che ospita una teoria di toys d’epoca, ovverosia vetturette elettriche tirate a lucido appaiate a flipper d’antiquariato funzionanti; oggetti, questi, sistemati sotto volte e stucchi di marca neoclassica quasi a volere creare un cortocircuito di epoche e stili come in un quadro di De Chirico. Qui abita il finanziere/speculatore Numa Tempesta (Marco Giallini) dall’indole tutt’altro che metafisica; si può dire, anzi, che la sua vita riposi su una fragorosa ma squallida praticità: esortazioni, consigli, motti, ordini impartiti in continuazione per mezzo del telefono o direttamente di persona. Nessuno ha il diritto di fermarsi, tutti hanno l’obbligo di trasformare il loro tempo in denaro, lui è la guida indiscussa. Affari spregiudicati che possono risolversi in sanzioni penali. Perciò proprio nel vivo di una nuova speculazione da consumarsi in Kazakistan, Tempesta riceve la ferale notizia dell’attuazione di una sua precedente condanna che potrà essere scontata in un centro per l’assistenza dei senza tetto; dovrà, in altri termini, servire uomini e donne che rappresentano il suo esatto contrario. Qui, sotto la responsabilità di Angela (Eleonora Danco) Numa viene a contatto con persone dalle modestissime prospettive ma dotate di un orgoglio spiccato. In questo contesto Numa non può essere il guru di nessuno ma solo un alieno malvoluto.

 

Io sono Tempesta parte da un’idea interessante, gode di buone interpretazioni, ma tuttavia non convince. Non vuole essere un film lento, drammatico e cerebrale, e non lo è; non vuole essere un film troppo leggero impostato su situazioni demenziali, e ci riesce in pieno. Il risultato è però di un film senza una connotazione precisa, dalla trama esile e per nulla avvincente; questa si avvale, peraltro e troppo spesso, di banali contrapposizioni: lusso e miseria, dotta sagacia ed ingenuità, furbizia e rispetto delle regole. Si può perdonare Giallini per il fatto di non apparire mai troppo cinico, ma in questo modo si strozza nella culla un percorso di redenzione che avrebbe reso la pellicola molto più avvincente. In tal senso Eleonora Danco - attrice drammatica dalle ottime capacità - avrebbe potuto rendere il meglio, ma in questo contesto, stretta da una trama che propone spesso situazioni per nulla originali e persino noiose, possiamo solo intravvedere la sua bravura e rammaricarci di ciò che avremmo potuto apprezzare ma che non è stato sviluppato. L’epilogo della sua vicenda nel film rappresenta un cosiddetto errore da penna blu, meglio soprassedere. Elio Germano che interpreta il senza tetto Bruno, gode, invece, di un ruolo da co-protagonista: una buona prova, ma il continuo confronto col giovane figlio rende la sua figura troppo ingombrante in un film corto e per molti versi deludente. Questione di spazi, perché talvolta “more is more”. Peccato.

 

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