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Cattive compagnie

Regia di Curtis Hanson vedi scheda film

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La recensione su Cattive compagnie

di spopola
8 stelle

Un buon thriller psicologico dalle ambigue e contorte atmosfere a metà strada fra le esasperate provocazioni della Highsmith con i suoi inquietanti paradossi e la lezione morale di Goethe (è in pratica a tutti gli effetti una rivisitazione aggiornata del mito di Faust ma con una felicissima intuizione che ne accresce l’importanza e la modernità: quella, in perfetta linea con i tempi, di aver “capito” la necessità di sostituire il tema logoro e demodé dell’eterna giovinezza, con i più contemporanei bisogni di denaro, potere e visibilità, i nuovi feticci dell’affermazione individuale del il “tutto e subito” che rappresentano l’obiettivo primario generazionale, un miraggio così agognato e “privilegiato” per la cui concretizzazione pratica si sarebbe davvero disposti a passare sopra a coscienza e moralità e a vendere persino qualcosa in più dell’anima al Mefistofele di turno appollaiato dietro l’angolo con le sue lusinghe accattivanti). Una progressiva e inarrestabile discesa agli inferi dunque quella che ci viene rappresentata, che è al tempo stesso anche una lezione sulla forza devastante del Male e una riflessione critica sulla difficoltà di sfuggire alla tentazione e sulle devastanti conseguenze della possibile “caduta”, perché alla fine il pagamento del conto arriva sempre, non si scappa, e potrebbe risultare particolarmente salato. Decisamente migliore la prima parte, più compatta e coesa. Nell’epilogo infatti, non tutte le promesse vengono mantenute e anche la fortissima tensione accumulata tende a diluirsi un poco nell’ovvio dell’effettistica in quel susseguirsi vertiginoso di colpi di scena che rappresentano il preludio per una conclusione persino un po’ troppo accomodante, ma fortunatamente questo “affievolimento tematico”, questo concedersi un po’ troppo alla platealità della sorpresa, non sono sufficienti a scardinare del tutto il perfetto congegno che Hanson ha saputo mettere in movimento, implacabile e preciso come un metronomo fino in fondo nonostante qualche piccolo “inceppamento” che qualche volta fa davvero temere il peggio. Fra i valori aggiunti, oltre al look particolarmente curato e “figo” di tutti i personaggi, l’avveniristico “disegno” degli ambienti di una modernità tecnologica travolgente, indispensabile cornice di questa storia di plagio e corruzione. Buona anche la resa dei due interpreti, un Rob Lowe (allora all’apice del successo) particolarmente seducente e “in parte”, e un James Spader più sfaccettato e attonito, ma ugualmente affascinante.

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