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Disobedience

Regia di Sebastián Lelio vedi scheda film

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La recensione su Disobedience

di alan smithee
7 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Da Londra a New York per una fuga nelle intenzioni senza più ritorno; di fatto duratura, pwr sfuggire da una prigionia di vita imposta decisamente da dettami religiosi al di sopra delle proprie possibilità.

Fino ad un ritorno non preventivato, per fare fronte, tra imbarazzo ed insicurezza, ad un lutto con veglia, a seguito della scomparsa della persona cardine di quella fuga obbligata e necessaria.

Ronit è una fotografa quarantenne bella e di fama, costretta a far ritorno nella comunità natale del proprio quartiere ebreo londinese, non appena scopre che il padre rabbino è improvvisamente mancato.

Tra loro i rapporti ridotti al minimo, anzi di più. Risultato: la figlia nemmeno sapeva che le condizioni del padre fossero peggiorate; il padre invece dichiarava in pubblico di non avere figli.

Un ritorno mesto, quello della donna, reso più duro con l'acuirsi di ricordi spiacevoli nell'animo, che maturano man mano che l’occhio ritorna sugli ambienti caratteristici di una infanzia infelice a tal punto da rendere indispensabile anni dopo una fuga senza ritorno; e l’acuirsi di quel senso di colpa che oggi la donna comprende di non essere mai riuscita davvero ad abbandonare, si trasforma in amarezza nel ricevere la conferma di come anche l’illustre genitore avesse ormai cercato in tutti i modi di dimenticarsi di lei.

Accolta dal più brillante e fedele giovane collaboratore del padre, Dovid, che si scopre sposato con la bella Esti, ragazza omosessuale che ha represso la propria condizione in nome di una religione che non tollera atteggiamenti che considera contro natura, da sempre attratta dalla bella Ronit.

Accolta in casa della coppia, Ronit finisce per divenire, pur senza volerlo scientemente, la scintilla che provoca il divampare delle fiamme.

Per troppo tempo in quella comunità si è agito troppo per rispetto dei principi, senza mai assecondare le sensazioni, gli istinti di vita, di una comunità a quanto pare popolata da persone spesso segretamente frustrate ed irrisolte.

Sebastian Lelio, regista cileno noto per Gloria (di cui sta dirigendo proprio ora remake americano con Julianne Moore), premio Oscar 2018 con il toccante Una donna fantastica, torna anche con questa sua prima avventura americana popolata di stars, ad occuparsi di istinti ingovernabili, di una etichetta che uccide ogni parvenza di umanità in nome di una dottrina, religiosa e morale, castrante e deviata che finisce per costringere le persone a simulare la propria vita, anziché viverla appieno responsabilmente e con la più adeguata coerenza.

Lelio dirige un film interessante, soffocante, che si giostra tutto attorno i tetri ambienti di una dottrina che in qualche modo predica la pace e la tolleranza, ma si contraddice istigando e giustificando comportamenti repressivi e intolleranti votati alla chiusura più implacabile e senza cuore.

Fondamentale l’alchimia contrastata e titubante che si viene a creare tra il riuscito ed erotico triangolo formato dai tre bravi e begli attori coinvolti: Rachel Weisz, splendida e sofferente, Rachel McAdams sacrificata e sacrificale, e l’ottimo Alessandro Nivola, l’allievo divenuto maestro che non può permettersi cedimenti né tantomeno tentazioni carnali che vadano oltre un matrimonio conbinato improbabile, ed inevitabilmente irrisolto.

 

 

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