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Ci rivediamo lassù

Regia di Albert Dupontel vedi scheda film

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La recensione su Ci rivediamo lassù

di alan smithee
7 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Trincee nella terra, scavi umani che raccolgono quel che resta di truppe impegnate in una difesa strenua contro un nemico letale e dall’avanzata inesorabile: un cane-staffetta ne schiva le profondità per raggiungere lesto e guardingo la buca giusta ove lasciare la sua missiva.

Siamo agli sgoccioli della sanguinosissima Prima Guerra Mondiale e troviamo, in quelle stesse trincee, il giovane disegnatore Edouard Péricourt e l’anziano contabile Albert Maillard: entrambi non proprio dei pavidi, ma strenuamente convinti a salvarsi la vita l’un l’altro, soprattutto da quando il cinico e spietato tenente Pradelle li ha presi di mira e tenta in ogni occasione di fucilarli per tentata diserzione. Proprio mentre il più giovane la salva all’altro, semisepolto in una trincea collassata, ecco che un’esplosione gli annienta tutta la mandibola e la parte inferiore del capo, devastandolo.

Ritrovatisi dopo la guerra, periodo fertile di commerci e ricostruzioni, i due militari escogitano un sistema per vendere su commissione belle tombe monumentali ai parenti dei caduti, e poi tagliare la corda una volta intascato l’anticipo.

Peccato che la sorte del crudele loro tenente, un tipo da “armiamoci e partite”, sia sempre destinata a ruotare attorno a loro, ritrovandolo egli, in tempo di pace, in qualità di architetto intento a progettare parti di cimiteri ove seppellire le migliaia di morti in battaglia.

Circostanza che permette a Albert Dupontel, a cui viene messo a disposizione da Gaumont un buon budget, di dirigere un grande affresco tenero e galvanizzante di un’epoca distante, ma sempre colma di personaggi che, al pari di oggi, si destreggiano tra le due classiche categorie di “vincitori e di vinti”, che da sempre si alternano e contendono la salvaguardia ognuno del proprio interesse e del proprio diritto di vivere.

Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Pierre Lemaitre, Au revoir là-haut ci parla di vita, ma ancor più di morte, tuttavia restando aggrappato strenuamente ad una speranza di vita che è insita nella natura dell’uomo, specie di quello mite che potrà essere sotto sotto un piccolo furfante, ma che in cuor suo appare decisamente più onesto della posizione ufficiale occupata dall’arrogante, spesso approfittatore illegittimo del suo stato di vantaggio.

La scrittura appare brillante e piena di ritmo, sorretta da una regia ariosa e frizzante in cui la macchina spazia da riprese aeree a dolly addentro le barricate e le trincee, scaraventando lo spettatore in prima linea, al pari dei nostri terrorizzati protagonisti.

Uno stile insieme barocco, brioso e altisonante tutto ritmo e gags, senza rinunciare o passar sopra alla drammaticità di fondo del periodo drammatico che fa da sfondo alla storia: un film che ricorda la mano felice e geniale di Jeunet, e pure quella altrettanto galvanizzante di van Dormael, senza eguagliare nessuno dei due, ma ispirandovisi con lodevoli risultati.

Nel ruolo del giovane Edouard, ricco di famiglia e con un padre sprezzante ed apparentemente freddo che lo getta apparentemente al fronte per toglierselo di fronte, troviamo il giovane ottimo attore argentino Nahuel Perez Biscayart (già visto in “120 battiti al minuto”), mentre Mailard è interpretato dallo stesso Dupontel, occhi piccoli e scuri, sguardo attonito, spesso incredulo, in una serietà comica che ricorda, almeno in parte, la capacità malinconica o talvolta proprio drammatica di far ridere di Buster Keaton. Nel ruolo del severo ed imperturbabile (almeno fino ad un certo punto) padre del bravo disegnatore, Niels Arestrup giganteggia con la solita leonina versatilità ed impotenza espressiva, mentre il ruolo del cattivo e spietato tenente donnaiolo e infido è reso con maliziosa complicità da un Laurent Lafitte davvero lodevole.

Con questa corposa produzione storica Dupontel si riconferma un regista strenuamente alla ricerca di storie e personaggi borderline, umili e schivi, ovvero coloro che mai potrebbero passare alla storia o finire nelle pagine dei libri, elevati a protagonisti di un’epica che grazie a loro modifica non poco il corso della storia.

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