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La casa di Jack

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su La casa di Jack

di kubritch
6 stelle

" Durante questi viaggi, la gente è sopraffatta da un forte desiderio di confessarsi, raramente di grande qualità retorica. Non credo che tu mi dirai qualcosa che non ho già ascoltato in precedenza." Sono le parole introduttive di un film che si presenta, dunque, come una sfida. Il protagonista narra 5 episodi di omicido, definiti incidenti, avvenuti in 12 anni. L'impressione è quella di un dialogo filosofico per immagini sul significato dell'essere umano, oppure, di una seduta psicanalitica o di una confessione con un sacerdote, con un linguaggio ironico. Jack è tutto teso a convincere il suo interlocutore che la violenza è ciò che costituisce più propriamente la natura umana, paragonandola ad un'opera d'arte, pittorica, musicale o architettonica, simile ad una cattedrale gotica. Egli stesso si descrive come un grande fotografo di nature morte date alle stampe con lo pseudonimo "Mr. Sophistication". In sottofondo, "Fame" di David Bowie è eloquente. Tuttavia, è una esaltazione narcisistica, superomistica, che la voce antagonista non fa altro che sminuire  riducendo il suo racconto ad una banale dimensione psicopatologica, per niente, colpito dalle atrocità che sta ascoltando. Si capisce che ne ha viste tante e, alla fine, comprenderemo il perché in un finale alla Jodorowsky, in cui la finzione si fa scoperta. Il serial killer spiega minuziosamente, con immagini pseudo-scientifiche, tutto quello che prova dentro di sè e le ragioni che lo hanno spinto a compiere quegli atti efferati, ma, il suo accompagnatore non ha moti di compassione, si limita solo a dire che si sbaglia. D'altra parte, i racconti sono così deliberatamente inverosimili e le immagini, così, esteticamente curate da denunciare il loro intento ironico, sarcastico. E' difficile, però, per gli spettatori distaccarsi da ciò che vedono e prenderlo nella loro essenza di immagini artisticamente riprodotte. La parola, l'idea non è la cosa. Siamo in una società così condizionata da parole ed immagini che ne perdiamo di vista la funzione di segni e simboli che indicano la realtà, piuttosto che riprodurla. Purtoppo, la propaganda vuole che noi crediamo a ciò che ci dicono e ci mostrano nei media, per un fine di vendita. Dobbiamo credere alle immagini pubblicitarie. Dobbiamo credere che il consumo di quelle merci ci renderà felici come gli attori che le propongono. "Cerchi continuamente di influenzarmi e con i bambini, l'argomento più sensibile di tutti." Dunque, Lars von Triers non sta decantando le capacità di un omicida, paragonandolo alla genialità stravagante di Glenn Gould o di William Blake. Questo è solo il sogno perverso di un personaggio immaginario. Tutt'altro, il regista si rivela in tutta la sua concezione cristiana del mondo con un impeto apocalittico che somiglia tanto a quello di un predicatore calvinista. "La religione ha rovinato gli esseri umani, poiché il vostro dio negando la tigre che c'è in ognuno di noi ci riduce ad una massa di schiavi." "Oh Jack, avresti dovuto leggere le lettere giuste nella tua vita ma non hai voluto farlo." L'uomo non è tigre né agnello. Questa è la visione logora ed anacronistica del libero arbitrio, che libera la bestialità più di quanto siamo disposti a pensare poiché la giustifica. La Storia parla chiaro. Segue una discussione sul significato dell'arte con uno scambio reciproco di accuse che oppongo l'amore e la morte (un altro giudizio moralistico profondamente cristiano); sulla necessità che l'arte abbia dei limiti morali. Jack sostiene la bellezza della decadenza. L'accompagnatore paragonando la vita ad una casa  chiede a Jack se il fine della costruzione della sua casa sia autoreferenziale come una vita priva di un significato trascendente, ridotta a materia bruta (dire che la materia è bruta è, in sé, già un pre-giudizio moralistico). Il presupposto sarebbe che la religione fornisce un fine che altrimenti la vita non avrebbe. Purtroppo, siamo ancora all'interno di una cultura cristiana che genera una dissociazione della realtà. Lars è tutt'altro che un ateo con smanie filonaziste come sembra a certi critici sprovveduti. Il film sembra attribuire il male al rifiuto dell'individuo di accettare la propria mediocrità, la propria mancanza di genio, i propri fallimenti, o il proprio stato di inconsapevolezza. Nella realtà è un po' più complesso di così. Il finale, con la presenza iconica di Bruno Ganz, chiarisce perfettamente da che parte propende il regista. Non c'è scelta e titoli di coda confermano la visione ironica del film. Diciamoci la verità, al di là dell'ottimo livello artistico profuso dall'autore e da Matt Dillon, si tratta di una teorizzazione intellettualistica, al quanto, refrattaria a visioni successive e non certo per la violenza rappresentata, quanto per un discorso di puro piacere estetico. Penso a film come Psyco o Arancia Meccanica. Il loro valore estetico non è subordinato a ciò che narrano o a teorie sul mondo, sottintese. Tutt'al più si può rivedere a frammenti o giusto per mettere a fuoco certi discorsi, per quel che può valere. 

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