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La casa di Jack

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su La casa di Jack

di maghella
8 stelle

Premessa. Non entro in una sala cinematografica da mesi. “La casa di Jack” mi fa varcare la soglia di una Multisala (la più odiosa nell'arco di 50 km), spinta da curiosità (finalmente) e dall'amore-odio verso Lars Von Trier. Il film è tagliato (così come dice la didascalia prima dell'inizio di proiezione), non è quindi la versione integrale quella che ho visto, ma quella “censurata” (si usa ancora questo termine? Giusto?) “con l'autorizzazione ma senza il coinvolgimento del regista”.

 

Buio. Jack confida al suo paziente ascoltatore e accompagnatore (come andremo presto a comprendere) i suoi 5 incidenti avvenuti in 12 anni, che meglio descrivono la sua vita e la sua personalità.

Il primo incidente è veramente un incidente, o meglio, un improbabile soccorso da parte di Jack (Matt Dillon) di una affascinante signora (Uma Thurman), rimasta in panne e sprovvista di un crick funzionante per poter cambiare la ruota alla propria macchina. La signora ferma prepotentemente il furgone rosso di Jack lungo una strada di campagna e con fare insistente lo obbliga a farsi accompagnare dal più vicino fabbro per farsi riparare il crick. Una volta sul furgone, la signora non si trattiene però dal fare allusioni e congetture poco simpatiche nei riguardi di Jack. Jack possiede il tipico furgone sul quale è possibile trasportare cadaveri per poterli poi seppellire in un luogo più sicuro, Jack è il tipico uomo che non alimenta sospetti negli estranei, Jack non sorride e ha il tipico sguardo insulso. Jack all'ennesima provocazione prende il crick che il fabbro non è riuscito a riparare e lo scaraventa sul volto della petulante e antipatica signora, zittendola per sempre.

Con la conclusione del primo incidente, scatta la prima provocazione da parte del regista e autore Lars Von Trier, facendoci entrare immediatamente in empatia con il serial Killer Jack, che altri non è se non (per la prima volta su questi schermi, signore e signori) l'alter ego del regista stesso. Inoltre ci (mi) costringe ad una prima riflessione: Uma Thurman rappresenta sicuramente lo star system blasonato che più e più volte lo ha severamente giudicato, punito, insultato. Che il primo incidente di Jack sia una piccola rivalsa verso i suoi più “acerrimi nemici”? Trier ha dichiarato che ha scritto la parte esclusivamente per Uma, pensando a lei e a nessun'altra all'infuori di lei. Jack-Trier, il solito misogino provocatore? C'è dell'altro sicuramente... mi accomodo meglio sulla poltrona per seguire gli altri “incidenti”. Il cadavere della prima vittima va a finire in un'anonima cella frigorifera, affittata molto tempo prima dal protagonista come deposito per centinaia di pizze congelate che non avrebbe mai mangiato.

Inizia la carriera omicida di Jack, una carriera che parte con una dura gavetta comprensiva di innumerevoli errori dovuti soprattutto alla complicazione di una ossessione compulsiva per la pulizia, che obbliga Jack a tornare più volte sulla scena del delitto per assicurarsi di aver pulito tutto con precisione e senza lasciare tracce. I problemi caratteriali di Jack, le sue ossessioni, le manie, ci coinvolgono e ci fanno sopportare meglio (proprio come al suo accompagnatore) gli sproloqui sul significato artistico che egli dà ai suoi delitti, sul senso estetico e sulla ricerca filosofica (arricchita da più e più visioni) che in qualche modo tendono a giustificare i suoi comportamenti omicidi.

Con l'avvicendarsi degli incidenti, cresce la sicurezza e la prosopopea del narratore che, finalmente più libero dalle sue ossessioni, riesce a gestire i suoi delitti con più creatività. La fotografia aiuta Jack a fermare in una immagine il tempo e a definire il suo omicidio come opera d'arte, utilizzando i cadaveri come marionette in posa in un folle set di morte. Jack-Trier diventa così autore e si firma Mr Sophistication, diventando a tutti gli effetti un serial killer.

La carriera da serial killer prende però il sopravvento su quella di ingegnere di Jack, che non riesce a concludere il suo più ambizioso progetto, quello della costruzione della propria casa dei sogni, al quale ha dedicato molto tempo e svariati modellini, ma che nel momento della messa in opera non trova il materiale più adatto per la effettiva costruzione, rimanendo così una ferita perenne e una delusione cocente per il progettista.

Jack, via via che si fa più sicuro nell'uccidere, si rende conto che la buona riuscita dei suoi delitti deriva più dalla totale indifferenza che lo circonda, oltre che da una inettitudine da parte delle forze dell'ordine che non riescono mai a collegare gli indizi (numerosissimi) che il buon Jack lascia dietro di sé, piuttosto che dalla sua capacità di operare bene. Ci sono sempre molti particolari che il protagonista non prende in considerazione privilegiando invece una sua visione più ampia di quello che sta per compiere. Jack cerca nei suoi omicidi il piacere della realizzazione, è vero, non lasciandosi mai sopraffare da rimorsi o pietismi, ai quali sembra del tutto refrattario.

Jack(-Trier) è insopportabile, inguardabile, improponibile, folle, ingiustificabile, eppure non possiamo fare a meno di ascoltarlo (come accade al suo accompagnatore, per il momento ancora oscurato), e in alcuni casi abbassiamo gli occhi per non vedere cosa fa alle sue vittime (donne per la maggior parte, ma anche bambini, animali, uomini e, infine, amici). Quando infine Jack viene catturato (e ucciso? Non ci è dato di vederlo questo, ma poco importa, molte cose non ci vengono dette o rivelate o approfondite, ma questo non è un thriller, non è un noir e nemmeno un horror: è un testamento intimo, una confessione e quindi alcuni particolari rimangono al mittente), inizia la parte più folle del progetto Jack-Trier-Dante, che capiamo essersi addentrato insieme al suo accompagnatore (che scopriamo essere niente meno che Virgilio, nella persona di Bruno Ganz) negli inferi. Qui ci aiutano tutte le reminiscenze scolastiche, le ricchezze personali dovute alle conoscenze delle opere dell'arte che in qualche modo hanno illustrato (impaurendoci) i gironi danteschi, e tutto si mescola con quello che il regista ci offre.

Nel punto in cui un altro film (ci potrebbe essere un altro film simile fatto da un altro regista?) avrebbe messo la parola fine e i titoli di coda, Trier ne comincia praticamente un altro, e ci troviamo a compiangere il povero Jack (così come mi avviene per tutti i cattivi cinematografici che ho visto nella mia vita) che dovrà passare la sua eternità nella dannazione. Virgilio-Ganz lo comprende, ma crudelmente (ma è davvero Virgilio? Mi sorge il dubbio che sia Satana in persona questo Ganz che comunque è stato anche un Hitler molto convincente solo qualche anno prima -”La Caduta.Gli ultimi giorni di Hitler-2004 di Oliver Hirschbiegel, e quindi il diavolo in terra...ma queste sono riflessioni personalissime) gli mostra i campi Elisi che non potrà mai raggiungere ma solo osservare da lontano. Quei campi sono i luoghi in cui Jack è cresciuto e che durante le sue confessioni a Virgilio ha dichiarato essere stati i luoghi in cui si sentiva maggiormente in pace, mentre ascoltava il respiro del grano che veniva tagliato. Solo durante questa crudelissima visione dell'irraggiungibile paradiso perduto, al nostro caro Jack appare una lacrima di rimpianto, non certo di pentimento (ci mancherebbe) per la sua “Rosabella” (ognuno di noi ha un rimpianto per qualcosa che possedevamo e che ci è sfuggita nostro malgrado come ci insegna Orson Wells in “Quarto potere”). Così, quando Virgilio-Ganz-Satana mostra a Jack l'ultima possibilità per raggiungere la via per il paradiso, Jack ci casca con tutte le scarpe e da “cialtrone” come è sempre stato per tutto il film, cede all'ultima tentazione e inizia la rampicata, precipitando verso il punto più profondo dell'inferno.

Jack-Trier si mostra senza molti filtri allo spettatore, ma questo non è importante e nemmeno ci rivela cose che non sapevamo: Lars Von Trier è un folle narcisista, alcolista, depresso, complessato, pieno di frustrazioni e ossessioni compulsive che gli impediscono di affrontare cose “normalissime” della vita di tutti i giorni. Trier non ha nascosto mai i suoi discutibilissimi pensieri politici che spesso vengono giustificati come “provocazioni”, ma che di fatto sono odiosi concetti del pensiero nazista. Non è difficile associare le vittime di Jack-Trier alle attrici (e attori) che hanno dovuto lavorare con lui: corpi da uccidere (metaforicamente parlando per carità) per poterli utilizzare al meglio per le proprie opere. “Con le donne lavoro meglio, si lasciano adoperare più facilmente degli uomini”, dice ad un certo punto Jack-(Trier) a Virgilio-(Ganz, Satana), quando quest'ultimo gli chiede come mai uccidesse preferibilmente le donne. In effetti Trier ha utilizzato molto le donne come protagoniste per i suoi film. Oggi, per il suo ultimo film (e a detta del regista pare non ce ne saranno altri, ma ovviamente non gli crediamo più) Trier usa Matt Dillon, che -spiega Trier- ha visto solo in “Rusty il selvaggio” (film di F.F.Coppola del 1983...giusto una cosetta recente), e che è stato l'unico attore americano che ridesse poco, ad accettare il progetto con entusiasmo. Una scelta che ha dato ottimi frutti, Dillon è mutevole proprio nel suo enigmatico volto, che costringe in smorfie e ghigni per assumere una emotività che non appartiene al suo personaggio, ma che deve imparare ad avere per vivere nel mondo dei vivi. Jack-Trier-Matt Dillon passa da un incidente all'altro, acquistando via via più sicurezza nel suo modus operandi, lasciando  le sue paranoie e le sue ossessioni lungo la strada di omicidi. La bravura dell'attore sta nel mostrare il suo personaggio partendo dalla confessione iniziale, senza essere supportato da una narrazione corretta e cronologica dei fatti, senza l'appoggio di personaggi di contorno che lo aiutino a svelarsi, se si escludono le sue vittime naturalmente: Jack-Dillon (e Trier molto probabilmente) è solo. Questo è un particolare che mi ha colpito molto: la solitudine del protagonista, l'assenza di personaggi che lo accompagnino (escludendo l'accompagnatore Virgilio-Ganz-Satana, ovviamente, che è con lui dall'inizio alla fine), Jack uccide tutto e tutti, non ha bisogno di nessun contorno, ma piuttosto di crearne uno intorno a lui, e in fondo è forse proprio questa la sua casa: il frutto di tutto ciò che lui ha costruito con i suoi incidenti, la materia ideale per una casa che però alla fine diventa una prigione fatta di vittime, cadaveri senza più niente da raccontare, sviscerate di ogni loro personalità e umanità.

Cosa resta a Jack-Trier? La porta di servizio, quella verso gli inferi, l'unico luogo a lui destinato.

Mi piace pensare a questo punto che Virgilio-Ganz-Satana sia lo spettatore stesso (io?), l'unica figura possibile, colui disponibile ancora ad ascoltare Jack-Trier, ad osservarlo e a dargli ancora qualche possibilità di fuga.

 

Note personali. Così come ho detto nella premessa, erano mesi che non andavo al cinema, per me questa una cosa impensabile fino a qualche tempo fa. Mi mancava la curiosità verso i titoli che si avvicendavano nelle settimane, niente mi sembrava tanto interessante da  dover farmi affrontare i km per raggiungere il cinema più vicino (quelli nella mia zona o hanno chiusi i battenti, o puzzano, o proiettano cose che non mi interessano minimamente). Trier mi ha costretta a fare i 30 km necessari per raggiungere la multisala più vicina, ma quello che mi ha veramente reso felice è che mi ha costretta ad una elaborazione del film, a riflettere su ciò che mi stava raccontando, sia durante la visione, sia dopo, portandomi addirittura a scriverne qualcosa (cosa, anche questa, che non mi accadeva da mesi). Forse Jack non è così solo come crede.

Matt Dillon

La casa di Jack (2018): Matt Dillon

 

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