Espandi menu
cerca
La casa di Jack

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Leo Maltin

Leo Maltin

Iscritto dal 17 luglio 2010 Vai al suo profilo
  • Seguaci 40
  • Post 1
  • Recensioni 897
  • Playlist 32
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La casa di Jack

di Leo Maltin
8 stelle

Visto in lingua originale con sottotitoli

 

Le ammissioni di un demente meticoloso

Parafrasando in modo eretico Confessioni di una mente pericolosa, esordio alla regia di George Clooney, chi scrive ha ritenuto opportuno porre tale incipit per cogliere in estrema sintesi il senso dell’opus n° 15 del regista danese.

Provocatorio come al solito, LVT racconta il caso clinico di Jack (un eccezionale Dillon, “mostro polisemico” – anche quando tiene in mano dei cartelli con scritte, facendo il verso a Bob Dylan in Subterranean Homesick Blues): ingegnere che si considera architetto, ignobile serial-killer (a un certo punto dichiara di aver ucciso 60 persone in dodici anni di “carriera”), soggetto palesemente ossessivo compulsivo, con disturbo schizoide della personalità.

Attraverso cinque episodi di violenza disturbante, il paranoico megalomane illustra con quale modus operandi (strangolamento; non disdegna d’essere the Ripper, onorando così il nome che porta; in un caso cecchino “di famiglia”) abbia attuato brutali omicidi a fini artistici (probabili “modelli di efferatezza” sono i quadri di Otto Dix e George Grosz), in un delirio di onnipotenza visiva, concettuale, sadica (ma senza lust murder) e misogina (#metoo compreso): quasi la stessa del sardonico von Trier, che con proverbiale erudizione sbalorditiva – al limite della saccenteria (le digressioni stavolta vertono su William Blake, lo Stuka Ju 87, la teoria del «valore delle rovine» di Albert Speer, architetto personale del Führer) – travolge al suono di Bach (“architetto della musica”) lo spettatore, pietrificato dinanzi alla coazione a ripetere del personaggio protagonista, nei fatti un pervicace misantropo.

“No, non sono un eccentrico”, direbbe Glenn Gould, il cui fantasma aleggia per tutta la durata del film – anche con inserti video (al sottoscritto sembra altresì ravvisabile Andy Kaufman, sia quello vero che la versione proposta sullo schermo da Jim Carrey in Man on the Moon).

Da vero esteta del delitto (inteso come gesto/evento), Jack – o meglio Mister Raffinatezza – prepara con cura ogni fase di un’oscena performance art della vittima (benché la prima francamente risulti esilarante): seduttiva, di cattura-preparatoria, omicidaria-creativa (le mutilazioni fanno pensare ai tagli di Lucio Fontana), totemica (posizione del cadavere “da contemplare”), per poi riprendere insidioso (la terminologia e buona parte di quanto esposto sono mutuate dal libro Omicida e artista. Le due facce del serial killer di Ruben de Luca, psicologo e criminologo). Nel suo caso non vale ciò che dice Adorno: “Ogni creazione artistica è un crimine non commesso”.

Fenomenale la resa cromatica dell’epilogo all’Inferno (clamoroso il tableau vivant da Delacroix – La barca di Dante), dove il rosso sangue del furgone di Jack diventa la dominante assoluta: ormai col vestito carminio del Poeta, egli è pronto a seguire “lo duca” Virgilio, ovvero l’immenso Bruno Ganz (all’ultimo ruolo, prima di congedarsi dal mondo reale ed essere nuovamente l’angelo Damiel), per la definitiva hybrys.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati