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The Escape

Regia di Dominic Savage vedi scheda film

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La recensione su The Escape

di alan smithee
5 stelle

Un marito di bell’aspetto, con un lavoro ben retribuito che rende possibile abitare in una bella villetta in zona residenziale; due bambini piccoli, belli, vivaci ed intelligenti. Cosa manca per essere davvero felici e realizzati?

Si perché Tara, bellissima trentenne tenutaria di tutta questa realtà familiare, sente che qualcosa non va già da diverso tempo: il marito, in realtà greve e grossolano, incapace anche solo di comprendere lievi sfumature del disagio della donna, tratta la sua consorte come una bambola gonfiabile pronta a soddisfarlo in qualunque momento egli ne senta il bisogno; la vita della donna, come quella di molte madri di famiglia, ruota attorno a tutti gli altri tre membri della famiglia, cercando ossessivamente e senza mai un momento di sosta di far quadrare, oliare e rendere scorrevole tutto ciò che contrasta la riuscita e la naturale realizzazione di una armonia familiare che pare un atto dovuto ed imprescindibile.

Ma Tara vuole davvero tutto questo? O piuttosto una indipendenza anche solo di poche ore che le consenta di dedicarsi a qualcosa di suo, che non ammetta interferenze da parte di quei tre individui che la stanno lentamente prosciugando come vampiri insaziabili?

Uno stato depressivo sempre più compromettente spinge la donna a provare una sensazione di inadeguatezza al ruolo dapprima, poi addirittura di rivalsa nei confronti sia del marito, sia dei due bambini.

L’esasperazione la porterà alla fuga, fino a Parigi, dove, sola e finalmente concentrata sul proprio dilemma, saprà finalmente trovarsi in condizione per maturare una decisione realmente deliberata e cosciente.

Il film di Dominic Savage riflette con realismo e concretezza i dettagli di una crisi di depressione che dallo schermo precipita palpabile sul pubblico, tanto i sentimenti e i termini di questa situazione destabilizzante e precaria paiono epidermici e drammaticamente veritieri.

Facendo riflettere su come erroneamente si diano sempre troppo per scontati certi ruoli sacrificali strettamente connessi col ruolo inerente la riproduzione ed il ruolo genitoriale e tutelare che in natura si ritrova non solo presso gli esseri umani, ma anche in quasi tutte le specie animali, e che la società impone a scapito di determinate categorie o generi, escludendone senza reali valide motivazioni gli altri.

Pur non raccontando nulla di realmente nuovo né trascendentale, il film, grazie anche ai suoi due validi (e molto attraenti) interpreti (Gemma Arterton e Dominic Cooper, mentre in un piccolo cameo finale scorgiamo addirittura Marthe Keller, oltre che il regista ed attore Jalil Lespert), è in grado di definire con una certa tensione palpabile, i termini di questo disagio disarmante e di questo stato d’animo che piega in due la nostra protagonista, incompresa e sottovalutata da tutti, persino da una madre che la considera – e per certi aspetti la si può anche capire – una donna fortunata come poche.

Gemma Arterton, diva giunonica bellissima con quel suo sguardo triste e disperso, rende perfettamente le ragioni di una protagonista giunta ad un vicolo cieco della propria esperienza.

Il film, affastellato da un dialogo piuttosto concitato come è quello che si usa in famiglia quando ognuno dice la sua e le regole vengono poco per volta a sfaldarsi, risulta doppiato in modo piuttosto fastidioso, impreciso, puerile, tanto da chiedersi, una volta di più, a cosa servano questi sforzi su pellicole distribuite in modo assai contenuto, quando sarebbe sufficiente e ben più utile farne uscire qualche copia in più risparmiando sul doppiaggio e facendo abituare il pubblico italiano finalmente all’utilizzo dei sottotitoli, in grado di restituirci un fil mnella sua più autentica genuinità.

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