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I figli del fiume Giallo

Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I figli del fiume Giallo

di maurizio73
6 stelle

L'ultimo film di Jia Zhangke è l'ennesimo viaggio attraverso un continente travolto dagli sconvolgimenti ambientali e sociali dell'economia di mercato, ma soprattutto la rappresentazione di un potere centralizzato i cui effetti sono riscalati con rigore naturalistico al retroterra culturale di una provincia condannata alla mera sussistenza.

Figlia di un ex minatore disoccupato e compagna di un boss locale di piccolo cabotaggio, la bella Zhao Qiao si barcamena tra un locale da ballo che funge da copertura ed una bisca clandestina che fornisce sostentamento.
La fedeltà al suo uomo le costerà 5 anni di carcere e 15 anni di solitudine che la condurranno, attraverso un intero continente in perpetua trasformazione, al punto di partenza delle sue dolorose peregrinazioni.

 

locandina

I figli del fiume Giallo (2018): locandina

 

L'ultimo film di Jia Zhangke è l'ennesimo viaggio attraverso un continente travolto dagli sconvolgimenti ambientali e sociali dell'economia di mercato, ma soprattutto la sotterranea rappresentazione di un potere centralizzato i cui effetti sono riscalati con rigore naturalistico al retroterra culturale di una piccola cittadina nel nord del paese, depauperata dei valori di un'industria mineraria in dismissione ed abbandonata ad un'economia di sussistenza dove la piccola malavita locale è un'accozzaglia di bande cui è concesso di scannarsi liberamente a vicenda, ma senza l'uso delle armi da fuoco. Perfino i valori tradizionali della locale mafia jianghu sono derubricati al rango di un bonario codice di comportamento che appiani tensioni da circolo della terza età per una leadership troppo avanti con gli anni e presto spazzata via da una generazione sanguinaria di giovani bulli armati soltanto di di spranghe e di coltelli. Diviso idealmente in tre parti, l'odissea on the road questa volta coinvolge la musa Zhao Tao nel suo cammino di espiazione e di inutile riscatto sociale, tradita tre volte (nell'onore, nell'amore, nella devozione) e tre volte abbandonata, secondo una struttura simmetrica che riecheggia simbolicamente nella mastodontica visione della Diga delle Tre gole, vero paradigma di una capacità di manipolazione della natura su scala continentale che finisce per avere le sue ricadute più minute sul sottobosco affaristico e sociale della varia umanità che brulica sui suoi argini. Le contraddizioni di questa Cina moderna e camaleontica ma anche razionale e pianificatrice, sono anche le sue: quelle di una donna sveglia e determinata che sa adattarsi per sopravvivere, segue il suo sogno fin dove è possibile e sta quasi per cedere alla sirena dei sentimenti e del calore umano di una promessa senza sbocchi, ma alla fine decide di tornare sui suoi passi, al porto sicuro di un luogo d'origine dove si consumerà l'atto finale di un tradimento che ha il volto di bronzo un emiplegico che se la dà a gambe levate e di una rassegnazione incondizionata che, spalle al muro, la vede ripresa dall'occhio impassibile di una fotocamera (Caché) che scruta da lontano le miserevoli vite di un formicaio umano senza speranza.
Silver Hugo per la migliore attrice protagonista e per la miglior regia e candidato al Golden Hugo per il miglior lungometraggio al Chicago International Film Festival 2018.

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