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Nome di donna

Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nome di donna

di yume
4 stelle

L'ennesima, inutile tappa sulla strada della c.d "questione femminile".

locandina

Nome di donna (2018): locandina

La personalità di Nina (Cristiana Capotondi), giovane ragazza-madre acqua e sapone, dolci occhi da cerbiatta, sguardo aperto e fiducioso, si fonda su di un solido senso del suo essere persona con diritti inalienabili al rispetto di tutti, uomini e donne.

 

Arrivata bel bello nel mezzo della lussureggiante campagna lombarda per fare l' inserviente presso una lussuosa Casa di riposo per anziani (oggi le chiamano Residenze, ma il principio è lo stesso di un tempo, la differenza la fa la retta mensile) c’è l’Orco ad aspettarla.

E’ il direttore che chiamano dott. benchè sia solo rag, (lo sapremo dalla figlia che lo odia e ne ha ben donde, visto quello che ha sbirciato da piccola in giro per casa nella zona ancillare).

Tutti conoscono il vizietto del boss, il reparto inservienti dove la presenza di straniere è prevalente e ricattabile alla massima potenza e il il prete della Casa, che ha tutta l’aria del faccendiere incallito e fa il paio con il direttore quanto a traffici con la politica.

Il posto è infatti una fabbrica di soldi e il consiglio di amministrazione, che appare in qualche scena, non ha l’aria di un posto dove si pensa solo ai vecchietti.

Cristiana Capotondi

Nome di donna (2018): Cristiana Capotondi

Ad un’ora da Milano, dove vive il compagno che va e viene con uno zaino Invicta vecchio modello a righe quasi incollato addosso, un giovane indolore e incolore che tenta deboli rivendicazioni maschiliste subito rintuzzate da Nina (tipo “ Che ci fai qui, il mio lavoro può bastare, torna a Milano”) si snoda una storia che vorremmo poter definire esemplare ma purtroppo non possiamo.

Non possiamo perché è una vecchia storia trita e ritrita, una pietanza riscaldata e messa in tavola, come si dice, in tempore belli, a ridosso della data fatidica, 8 Marzo, e quando non passa giorno senza un femminicidio raccontato in ogni particolare da amori criminali, quarti gradi, servizi televisivi indignati e presenti, accuse vibranti contro l’inefficienza degli organi preposti alla difesa del cittadino e via così cantando.

 

Dunque anche Marco Tullio Giordana pone la questione femminile, unirsi al coro fa bene alla causa, peccato che la causa sia persa in partenza semplicemente perché non è la causa giusta.

La questione non è femminile, è una questione di potere, tout court, e finchè sarà considerata femminile non sarà risolta.

Ma questa è un’altra storia.

Per restare nel film, a parte la dolce bellezza di declivi, verdi acque e prati fioriti, il resto è di disperante nullismo.

A parte la Capotondi che dà un buon risalto al personaggio, il coro che la circonda è stereotipato, prevedibile, schizzato a tratti superficiali.

Nina annaspa in una sceneggiatura che la mortifica, la sua figura di persona in lotta per resistere e affermare il suo diritto di essere al mondo e guadagnarsi il pane in modo onesto (ecco dove la questione non è femminile, è umana) è azzoppata dal fiato corto che avvertiamo nel suo rapportarsi agli altri (il molestatore, il compagno, le colleghe omertose, l’avvocatessa tanto tanto sicura di sè, l’anziana ospite della struttura che la prende a benvolere, una Adriana Asti che sembra la parodia  di sèstessa).

Mancano profondità emotiva autentica, tensione e scavo interiore, tutto resta in superficie, anche lì dove più sarebbe stato bello, e in fondo anche facile, ottenere il massimo.

Parliamo del “silenzio di Dio”, ad esempio, di cui i due prelati sono prova vivente con il loro atteggiamento omissivo o complice, parliamo della condizione di sudditanza a cui tanti immigrati, uomini e donne, si sottomettono per sopravvivere, e parliamo anche di una certa giustizia “morbida” con i padroni.

Parliamo di tante cose che qui non troviamo, e soprattutto manca un po’ di sano realismo.

Non è una fiaba, e dunque inutile raccontarsela, la fiction non autorizza una fuga dalla realtà così plateale.

Cristiana Capotondi, Michela Cescon

Nome di donna (2018): Cristiana Capotondi, Michela Cescon

I processi per violenza o molestie o stalking non si concludono così in fretta, la Cassazione aspetta anni prima che il secondo grado si concluda, la sezione processuale è inconsistente, il dibattito annacquato e la folla plaudente fuori dal Palazzo di Giustizia artificiosa.

L’incontro finale di Nina poi con la figlia del molestatore su una panchina un anno dopo è una trovata lacrimevole che poteva essere risparmiata ma, tanto per asciugarsi le lacrime, divertente ciliegina sulla torta è la faccia di Colin Firth che occhieggia inascoltata su Skype nel monitor di Adriana Asti.

Lui la vorrebbe con sé a teatro per recitare Shakespeare, a lei non interessa.

Shakespeare o Colin Firth, this is the question

 

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