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1945

Regia di Ferenc Török vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 1945

di omero sala
8 stelle

locandina

1945 (2017): locandina

 

È il 12 Agosto 1945: il giorno della bomba su Nagasaki.

Ma siamo in Europa, in Ungheria, dove la guerra è appena finita.

Nella stazione isolata di un piccolo paese della campagna ungherese, arriva un treno sbuffante col suo pennacchio di fumo nero. Ne scendono due figure scure, ieratiche, un vecchio e un giovane; a prima vista si capisce che sono ebrei: sopra le candide camicie abbottonate fino al collo, il vecchio con la lunga barba grigia indossa una specie di redingote nera; anche il giovane porta una giacca, ovviamente nera. Tutti e due portano dei cappelli: il vecchio ha sul capo una lobbia, il giovane calca sulla testa una coppola.

Due grosse casse vengono scaricate e sistemate su un carretto in attesa. I due misteriosi stranieri, che hanno l’aspetto inquietante di due “revenants”, si accodano silenziosi dietro al carico, come dietro a un carro funebre, che parte diretto verso il paese. (Lo scalpiccio degli zoccoli del cavallo saranno la dissolvenza sonora, come un avvertimento, di tutta la prima parte del film).

Il capostazione entra in agitazione. Fa una telefonata (“Sono arrivati”); poi ingiunge al carrettiere di avviarsi con calma, di procedere lentamente; inforca una bicicletta e parte come una furia, precedendo il carro sulla strada assolata che attraversa i campi e porta verso il paese.

Il piccolo centro è in subbuglio per la celebrazione del matrimonio del figlio del corrotto notabile locale (proprietario agiato della fornitissima drogheria nella piazzetta, viene chiamato “il vicario” e guida la piccola comunità nel periodo di transizione fra la liberazione e le imminenti elezioni). La notizia portata dal capostazione sconvolge il paese: subito tutti - il gendarme, l’oste, il prete, le donne - si affannano, si agitano, si allarmano, confabulano nervosi.

Lentamente affiorano le ragioni di queste irrequietezze: durante la guerra i paesani non hanno protetto la famiglia ebrea del paese dai nazisti; al contrario alcuni di loro si sono resi responsabili di delazioni che hanno provocato la persecuzione dei Pollok e hanno poi approfittato della loro deportazione per appropriarsi dei loro beni (la bottega al notaio, la casa al delatore). Si teme che i due ebrei siano in qualche modo legati ai Pollok (parenti, eredi, emissari) e siano arrivati fin qui per recriminare o denunciare i torti subiti, chiedere conto, rivendicare diritti, cercare di rientrare in possesso delle proprietà, esigere risarcimenti, avanzare rivalse, meditare vendette, presentare esposti contro gli sciacalli.

Emergono subito fantasmi e paure, rimorsi (rimossi) e inquietudini, rancori, sensi di colpa, avidità, risentimenti.

L’euforia della liberazione (i Russi presidiano il territorio) è incrinata. Il faticoso tentativo di uscire dalle rovine della guerra subisce un arresto; si raggela la voglia di dimenticare per ricostruire, di ricominciare azzerando le tragedie, di ripartire col punto a capo. L’attesa snervante diventa frenetica e palpabile. La polvere nascosta sotto il tappeto aleggia nell’aria, come il fumo della locomotiva che evoca quello delle ciminiere dei forni crematori.

I rimorsi (rimossi?) riemergono. Le reazioni sono inconsulte.

Tutti entrano in crisi. Tutto salta. Tutto implode. Tutto precipita.

Il matrimonio in programma va a monte: il promesso sposo, figlio del notaio disonesto, se ne va, ribellandosi, mettendo distanza fra sé e il paese, rifiutando di rendersi complice dell’infamia del padre e di ricavarne vantaggi; se ne va con la sofferta approvazione della madre, oppressa dai ricordi, dai rimorsi, dai rancori; se ne va mandando a monte il matrimonio e ripudiando la fidanzata ancora legata al suo primo amore, un amico dato per morto ma tornato in paese al seguito dell’Armata Rossa. La sposa abbandonata (sia dal fidanzato che dall’amante) incendia la drogheria. Il delatore, alcolizzato, si suicida.

 

scena

1945 (2017): scena

 

I due ebrei, in realtà, sono arrivati semplicemente per rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto: vanno dritti al vecchio cimitero ebreo per celebrare un rito funebre, come quello di Antigone, per adempiere a un obbligo di commemorazione, compiere un gesto liturgico. Sul suolo consacrato scavano una fossa e vi seppelliscono, avvolti in scialli di preghiera, i superstiti oggetti appartenuti alle vittime della loro gente (scarpette infantili, libri di preghiere, filatteri, rotoli della Torah).

Non sono quindi esattori o giustizieri. Non sono lì per recriminare. Non chiedono nulla, non parlano: ma la loro sola presenza è terribilmente eloquente, il loro incedere lento pare gravido di minacce e il loro sguardo muto è sconvolgente.

I paesani, corsi in massa ad assistere alla strana cerimonia (con pale e forconi, non si sa mai!) tirano un sospiro di sollievo; ma la misteriosa apparizione dei due ebrei ha ormai sconvolto la apparentemente ferma atmosfera del paese, ha materializzato i sensi di colpa della piccola comunità, non solo quelli degli ingordi responsabili diretti del latrocinio ma anche quelli di chi ha girato la testa per non vedere e poi ha tratto dei vantaggi dalla scomparsa della famiglia ebrea o di chi solamente si è adattato al nuovo ordine (il poliziotto, il prete, l’oste).

 

1945" in Ungheria. I fantasmi del nazismo e non solo - Bookciakmagazine 

 

1945 è un film sull’olocausto, anche se non mostra deportazioni, reticolati e svastiche. Il punto di vista qui è quello di chi ha assistito indifferente, non quello di chi ha subito, ma la cruda efficacia è altrettanto potente e forse più destabilizzante (penso a un altro film ungherese, Il figlio di Saul, dove la Shoah è vista “da dentro”).

In un certo qual modo 1945 è assimilabile a Il nastro bianco di Haneke. Török, come Haneke analizza il male:l’austriaco nescandaglia l’origine, le avvisaglie; l’ungherese ne pesa le conseguenze. Tutti e due trattano di colpe oscure, di serenità apparenti, di ipocrisie collettive; tutti e due scelgono come location un piccolo e assolato centro rurale, microcosmo paradigmatico in cui si rispecchiano nazioni e continenti; tutti e due collocano gli avvenimenti nel periodo estivo; tutti e due optano per l’uso raffinatissimo del bianco e nero (meno realista del colore, più anti-realista, glaciale, quasi espressionista) più adatto a descrivere le ombre cupe delle premonizioni (Haneke) e quelle tormentose dei contraccolpi (Török).

 

Sul treno che parte prendono posto i sopravvissuti: i due ebrei pietosi, paghi del misericordioso dovere compiuto (parce sepulto) e il giovane figlio del capo-villaggio che per salvarsi prende la distanza dalle ipocrisie, menzogne e omertà in cui è cresciuto e ripaga la colpa di non aver capito.

Nel paese restano i vigliacchi disillusi, con le tasche vuote e le coscienze segnate. E restano i bambini, fortunatamente ignari.

 

Il convoglio che si allontana sferragliando e sbuffando ricorda il passaggio dei vagoni dei deportati; le lunghe rotaie richiamano alla mente i binari di Auschwitz; il fumo denso della locomotiva si espande a coprire il cielo.

 

 

 

Taranto – Torna l’appuntamento con il “Treno della Memoria”: pubblicato l’avviso per i giovani maruggesi

 

 

 

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