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1945

Regia di Ferenc Török vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 1945

di yume
9 stelle

Un after day insolito, gelido, che annienta e copre d'acqua e fuoco ciò che resta

locandina

1945 (2017): locandina

Orrore, orrore, uomo, togliti gli abiti, copriti il capo di cenere, corri nelle strade e danza, colto da follia

Jacob Schulmann, rabbino di Grabów

 

E follia è quella che coglie gli abitanti di uno sconosciuto paesino ungherese, le classiche quattro case e un forno, all’arrivo di due ebrei, un nonno e un giovane nipote ventenne.

Sembrano materializzarsi dal nulla, vestiti di nero, silenziosi e misteriosi, dignità estrema nei gesti e passo sicuro, scendono dal treno che arriva sbuffando fumo nero nella stazioncina a un’ora dal borgo.

Caricano sul carretto di un contadino rozzo quanto può esserlo un contadino della puszta ungherese due casse di legno e si avviano a piedi fino al cimitero.

Una camionetta di soldatini russi sghignazzanti e arroganti è lì di pattuglia a controllare arrivi e partenze, il patto di Varsavia è ancora di là da venire nel 1945, ma l’URSS sa già dove disporre le sue pedine.

Quello che i due passeggeri compiranno è un rito antico quanto l’uomo, la sepoltura.

Non resta molto dei loro cari, qualche libro, scarpette di bambino, alcuni rotoli della Torah.

Li tolgono dalle casse e li avvolgono nel Talle?d, lo scialle di preghiera rettangolare, compiono i brevi gesti del rituale e riprendono la strada verso la stazione.

Il vecchio dirà poche parole di spiegazione al notaio del paese accorso con tutti gli abitanti, ma non rifiuterà di stringere quella mano che il notabile gli tende.

Sarebbe banale, e nulla di questo c’è in un film che racconta l’inenarrabile con la misura dei giusti, quella di chi sa che il silenzio racconta meglio delle parole e si può stringere la mano anche al proprio carnefice.

scena

1945 (2017): scena

 

E’ il gesto più emblematico di un film che torna su quella tragedia in un after day ancora molto vicino, la guerra è appena finita, ma l’orrore è stato già abbastanza metabolizzato da masse di “cristiani” che stettero a guardare quando gli “ebrei” vennero rastrellati e sui loro beni notai e sindaci ratificarono opportuni passaggi di proprietà.

 

“Qui c’era il negozio, di Baruch, lì la sartoria di Lichtenstein.

E di fronte chi c’era?

Un negozio di alimentari

Un negozio ebraico?

Questa bella casa era degli ebrei? e quell’altra dietro?

Sì, anche…

Anche questa qui a sinistra?

Sì, il proprietario era un bell’uomo pieno di cultura…

Sembra che questa sia stata una città tutta ebraica.

Sì, il centro della città era tutto abitato da ebrei, i polacchi erano più in là”

 

Brani di dialogo da Shoah di Claude Lanzmann fra il regista e i nuovi proprietari di paesi un tempo gremiti da ebrei.

Nel lungo viaggio di undici anni, chilometri e chilometri nei luoghi d’Europa dove sbocciò la costellazione dei lager e dove la vita continua con i suoi ritmi giornalieri, le acque scorrono e gli alberi hanno ancora foglie a primavera, i bambini giocano in strada e i vecchi prendono il sole sulle panchine d’estate, Lanzmann attraversò luoghi di un presente immemore teso su un passato immemorabile e li raccontò al mondo con il suo film.

 

1945 innesta la fiction su una realtà di cui solo pochi sono disposti a prendere atto, lo sciacallaggio legalizzato che seguì alle deportazioni di massa in tutti i territori invasi dai nazisti.

Il paese accorre atterrito al cancello del cimitero, il capostazione si è precipitato in bicicletta dai capi del paese appena li ha visti sbarcare, notaio, capo della gendarmeria e prete entrano in fibrillazione, fervono i preparativi per un matrimonio senza amore fra il figlio del notaio e una bella contadina ma la notizia dell’arrivo esplode come una bomba.

Giustizieri? Angeli della morte? Materializzazione di sensi di colpa?

Nell’arco di due ore e mezzo, calcolabili con precisone matematica, l’andata e il ritorno da e per la stazione dei due ebrei e il tempo della sepoltura, tutto il rimosso collettivo verrà a galla e non sarà un bel vedere.

 

Lanzmann faceva poche domande, innocue, di quelle che spesso nessuno fa. La sua voce era sempre pacata, indagatrice e paziente, non rivelava nulla di sè, delle sue emozioni, era puro ascolto che voleva parole da ascoltare, tutto il resto era irrisorio, inutile, sepolto nelle pagine di intere biblioteche.

I due ebrei di 1945 sembrano figure ideali di un copione scritto da lui,camminano con ritmo cadenzato, i loro gesti sono gravi e misurati, sono venuti per adempiere al dovere che leggi non scritte impongono all’uomo, non chiedono altro, men che meno una rivalsa, una recriminazione.

Come sarebbe possibile?

 

25 febbraio 1944

Vorrei credere qualcosa oltre, 

oltre che morte ti ha disfatta. 

Vorrei poter dire la forza 

con cui desiderammo allora, 

noi già sommersi,

di potere ancora una volta insieme

camminare liberi sotto il sole.

Primo Levi

 

Presentato nella sezione Panorama alla 67esima Berlinale, vincitore di molti Festival ebraici, 1945 è tratto dal racconto Homecoming di Gàbor T. Szàntò, co-autore con Török alla sceneggiatura.

Dieci-dodici anni per completare lo script e ottenere i finanziamenti, racconta il regista, classe 1971, membro dell’ European Film Academy e dell’ Academy of Drama and Film di Budapest,venti anni di attività nel cinema ma solo con questo gioiello finalmente nelle nostre sale, a distribuzione limitata, due giorni, e solo in poche città.

Sono dati che fanno riflettere.

Ferenc Török

1945 (2017): Ferenc Török

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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