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L'atelier

Regia di Laurent Cantet vedi scheda film

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La recensione su L'atelier

di ethan
7 stelle

A La Ciotat (località dove venne girato 'L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat', uno dei primi, nonché il più celebre, assieme a 'L'uscita dalle fabbriche Lumière' tra i corti dei fratelli Lumière), una città portuale situata nel sud della Francia, una scrittrice di nome Olivia (Marina Foïs) ha il compito di dirigere un laboratorio (l'atelier del titolo) di scrittura con un gruppetto di sette ragazzi, dai quali si staglia ben presto la complessa personalità di Antoine (Matthieu Lucci), ragazzo scontroso e riservato. 

'L'atelier' è l'ottavo lungometraggio di Laurent Cantet - scritto anche questo a quattro mani con il fedele Robin Campillo - e segue con continuità i suoi precedenti lavori, tanto dal punto di vista tematico, con argomenti che vanno dall'analisi delle psicologie di un piccolo gruppo di individui, dei rapporti che si instaurano tra di essi e di altri temi molto attuali come integrazione, razzismo e lavoro, quanto da quello linguistico, con l'utilizzo di più macchine da presa e di conseguenza di diversi punti di vista, l'inserimento nella narrazione di parti documentaristiche, di inquadrature che prendono spunto da videogames e l'uso di attori non professionisti o alle prime esperienze.

Come per altri film dell'autore francese da me visti ('A tempo pieno' e la Palma d'Oro 'La classe'), anche 'L'atelier' non sfugge alla caratteristica di prodotto complesso, interessante e rigoroso ma al contempo dotato di alcuni scompensi, sia narrativi, con più di una delle (lunghissime) scene composte da dialoghi estenuanti al limite del logorroico, sia di contenuti, con una trama che fino a metà pare una specie di discorso metalinguistico sulla stesura di una storia, della concatenazione degli eventi, della descrizione dei personaggi, dei dialoghi ma poi vira verso il tema che più interessa al cineasta, cioè lo scontro, misto ad attrazione tra due personalità distanti in tutto tra loro (Olivia e Antoine) e l'affiorare dell'elemento razziale, con riferimento alla strage al Bataclan.

Al contrario però dei cosiddetti  film 'a tesi', in cui si sposa una sequenza causa-effetto relativa ad un determinato fenomeno, Cantet, con 'L'atelier' opta per un altro modus operandi, dando al personaggio del giovane 'ribelle senza una causa' Antoine i connotati più del disadattato, della persona che rifugge da qualunque classificazione, piuttosto che dell'individuo mosso da fervore nazionalistico o da fanatismo religioso-integralista, con sviluppi della vicenda francamente imprevedibili o legati alla casualità.

Ottima la prova della 'strana coppia' formata dall'esperta Marina Foïs nella parte della giallista che prova repulsione/attrazione per il ragazzo e dall'esordiente Matthieu Lucci, nello scomodo ruolo del solitario ed arrogante, per nulla simpatico Antoine.

Voto: 7. 

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