Regia di Agustí Villaronga vedi scheda film
Una guerra incomprensibile. Ma combattuta, con tenacia, fino all'ultima contraddizione.
The uncertain glory of an April day.Il verso shakespeariano – tratto dalla commedia I due gentiluomini di Verona - allude ad una primavera che potrebbe non arrivare. Si riferisce agli ideali passeggeri ed illusori come la gioventù, troppo labile anch’essa per poterli portare a maturazione, senza bruciarli nel lampo di un entusiasmo senza carattere, ingannevolmente alimentato dalle emozioni. Il racconto catalano di Joan Sales, immerso nel desolante degrado delle retrovie rurali della guerra civile spagnola, propone il sentimento sordo e profondo – non gli acuti della passione – come il vero, doloroso motore dell’esperienza umana: il substrato di solida sofferenza in cui si radicano tutte le manifestazioni della nostra debolezza, dalla fede alla follia. L’amore, l’ideologia politica, la speranza entrano nella vicenda come comparse mascherate: sotto il costume il loro corpo è nudo e morto, segnato dalla crudeltà di un destino che non prevede premio alcuno per le vittime innocenti, per i santi, i sapienti, gli eroi. Il tessuto esistenziale rimane solcato dalle cicatrici che segnano false piste nel turbinio di un conflitto il cui unico scopo è confondere per separare, creando divisioni indefinibili e cangianti come l’alternanza degli umori, della fortuna, dell’opportunismo. Le trincee sono finti segnaposto, quando la battaglia non riguarda la conquista del territorio o l’affermazione di un principio, ma solo l’importanza di partecipare a pieno titolo alla vittoria o alla sconfitta, o magari ad entrambe. Il caos mette al bando la contrapposizione, sostituendo ad essa un’annichilente mescolanza priva di senso: quel galimaties ricorrente nel testo originale, un concetto introdotto, fin dalla prima pagina, dall’immagine del fronte come un’incoerente fantasmagoria. Il panorama è policentrico: il cuore delle ostilità si trova in ogni singolo individuo: nell’ufficiale repubblicano Lluis come nel suo commilitone Juli, nella sua mancata moglie Trini o in Carlana, l’austera vedova padrona di mezza provincia. Il doppio meccanismo di attrazione e repulsione domina i rapporti familiari, affettivi, sociali, perennemente tesi alla distruzione della logica comune, a favore di un ardito equilibrio che faccia coesistere gli opposti, regalando una momentanea sensazione di terrena onnipotenza. Il tradimento è lo strumento tecnico attraverso cui il singolo si costruisce un ponte sul fiume in tempesta, divenendo nemico di tutti, ovunque guerriero, eterno protagonista di una sfida. Il film di Agustí Villaronga condensa i vertiginosi paradossi del romanzo in un vortice di cambi di ruoli e di partito, lungo un acrobatico ondeggiamento morale che si inebria dei muschiosi effluvi dell’orrore: dal basso giunge l’odoroso richiamo del disfacimento, di burroni pieni di carcasse, di tane sotterranee, di pozze piene di un’acqua che non lava e di lingue di fuoco che non purificano. Il quadro sfrangiato si offre con gusto temerario ad ulteriori lacerazioni, scambiate per nuove finestre aperte su una spietata evidenza: l’impossibilità di conoscere l’altro e la certezza di vedere riflessa, nel suo cinismo, la propria mitica, e combattutissima, inutilità.
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