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Mr. Long

Regia di Sabu (II) vedi scheda film

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La recensione su Mr. Long

di alan smithee
8 stelle

Mr. Long è un abilissimo ed efferato killer di Taiwan a cui viene affidata una missione di morte in Giappone.

Quando tuttavia le cose si mettono male - cosa inconsueta tenuto conto della precisione e perfetta premeditazione con cui l'assassino organizza i suoi piani - l'uomo, ferito da una coltellata al ventre, si trova costretto a fuggire e a trovare rifugio tra le baracche di una periferia cittadina che ospita sconfitti e dimenticati dalla società.

Soccorso da un bel bimbetto, l'uomo inizierà tramite lui a familiarizzare con quel posto, venendo a conoscenza della giovane bella madre tossicodipendente del ragazzo, una taiwanese immigrata in loco e travolta da disgrazie e sventure che l'hanno spinta nel baratro della dipendenza e prostituzione.

In quel luogo metterà a frutto la sua fino a quel momento celata abilità nel cucinare, divenendo il simbolo della rinascita e dell'orgoglio di quel quartiere dimenticato e reietto dalla società che conta.

Il ritorno dello splendido, versatile regista SABU (pseudonimo di Hiroyuki Tanaka, classe 1964, giapponese, uno dei nomi più interessanti e brillanti della attuale cinematografia nipponica, pressoché sconosciuto in Italia), corrisponde con una poetica favola moderna che, alla maniera degna del miglior Kitano, alterna dolcezza ed efferatezza con una strategia perfetta che sa di calcolo scientemente organizzato, ma a costo di lasciare impresso nello spettatore, momenti di grande intensità e, derivativamente, di grande cinema.

SABU si rivela perfetto nel bilanciare il thriller con la commedia che spazia tra il sentimentale ed il nero.

E se il finale pare incedere sin troppo in una soluzione consolatoria, è pur vero che lo spettatore si trova a dover subire poco prima un pesante sacrificio che in termini drammatici fornisce una inaspettata svolta pessimistica e macabra che certamente non anticiperò in questa sede.

Momenti magici intervengono presto, poco dopo l'inizio concitato della vicenda, quando l'approccio che suggella la strana, inconsueta, improbabile amicizia tra il killer ed il bambino, si sviluppa in inquadrature perfette, pervase da un silenzio quasi sacro che lascia parlare i gesti e talvolta persino un semplice sguardo di intesa, sufficiente ben più di ogni inutile parola o discorso, a stabilire un contatto di mutuo soccorso che darà vita ad una nuova, più salda e perfetta, concezione di famiglia, e lasciando alla sensibilità dello spettatore la possibilità di comprendere la potenza di un'intesa che risulta più forte di ogni azione malvagia e prevaricatrice.

Nella parte del silenzioso, essenziale, risolutivo killer protagonista, azzeccatissima si rivela la scelta della star Chen Chang, attore dallo splendido portamento, già apprezzato in The Grandmaster di Wong Kar-wai e La battaglia dei tre regni, di John Woo. Ma pure la bella attrice Yiti Yao nella sua drammatica parte sacrificale e inesorabilmente votata alla perdizione, e lo splendido e tenero, ma mai smielato bimbetto Run-yin Bai, contribuiscono a rendere speciale un film studiato forse sin troppo smaccatamente scientemente per piacere a tutti i costi, ma di fatto realizzato con uno stile impeccabile e una narrazione ineccepibile.   

 

 
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