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120 battiti al minuto

Regia di Robin Campillo vedi scheda film

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La recensione su 120 battiti al minuto

di Fionnula
5 stelle

Il film è ambientato nei primi anni novanta, poco prima dell’introduzione sul mercato dei nuovi farmaci che, dalla metà di quel decennio, permetteranno un maggiore controllo dell'Aids.

Speranze che si affacciano nella vita dei sieropositivi e dei malati, dopo anni di terrore puro. Le vecchie cure segnano il passo, con la loro tossicità elevatissima e la loro efficacia limitata. Quello che fa la differenza tra la vita e la morte è comunque e pur sempre la casualità. Tra i sieropositivi c'è chi riesce, pur contagiato da anni, a sopravvivere e chi, giovanissimo, deve arrendersi al morbo. Altrettanto casuale il contagio o il miracolo di esserne scampati. L'unico omosessuale del gruppo a non essere portatore del virus desta stupore proprio per essere riuscito a scansare la malattia, in tempi in cui di Aids ancora non si parlava e la prevenzione non esisteva, un atteggiamento frutto della libertà sessuale e della spensieratezza degli anni 70 e 80, che molti pagheranno con una morte atroce.

In questo contesto si inserisce l'azione di ACT UP Parigi, un gruppo di attivisti, presenti anche negli Stati Uniti, che si batte per fare prevenzione, informazione, non solo nei gruppi individuati come altamente a rischio (omosessuali, emofiliaci, tossicodipendenti, stranieri e prostitute) ma anche nelle scuole e nella società eterosessuale.

Gli interventi del gruppo, che funziona come un comitato estremamente eterogeneo, in cui ognuno ha diritto di parola, sono decisamente incisivi. Irruzioni nelle case farmaceutiche per accelerare la pubblicazione dei test sui nuovi farmaci, mentre il morbo miete ogni giorno vittime. Cortei in strada, comunicati stampa che vengono sistematicamente ignorati dai mass media. Una nuova peste che non lascia scampo, associata, nel pensiero comune, ai gruppi più emarginati e scomodi della società, rappresenta una bomba che le istituzioni preferiscono far passare sotto silenzio piuttosto che affrontare. ACT UP si batte contro l’omertà del governo e, anche in questo frangente, i Francesi mostrano la loro marcia in più, con la loro consapevolezza di individui con pari dignità e diritti e con il loro rifiuto di vivere la malattia e la condizione di minoranza sessuale nel segreto e nella vergogna, in tempi in cui in Italia entrambe erano praticamente “innominabili”.

E proprio al suo interno che ACT UP mostra le sue debolezze, anche nel film. Diversi approcci convivono, non sempre pacificamente. Il capogruppo preferisce insistere su un maggior presenzialismo nei mass-media, soprattutto la televisione, altri preferiscono azioni più mirate nei confronti della case farmaceutiche, di aiuto diretto e concreto alle persone coinvolte, di informazione e di prevenzione. Come in ogni democrazia che si rispetti, personalità differenti portano a scontri, i quali si riflettono poi anche nei rapporti interpersonali, minando equilibri delicatissimi.

Il film rappresenta i fatti in modo diligente, corretto. Le scene di sesso sono volutamente esplicite per evitare ogni accusa di “pruderie” o reticenza. Nessuna agiografia e nessun pietismo. Il limite del film è proprio la sua totale assenza di pathos, pur con una materia tanto drammatica, la sua incapacità di suscitare un coinvolgimento emotivo. Una rappresentazione formalmente accettabile, immagino fedele alle vicende realmente accadute, ma fredda, quasi “inerte”. Dei 120 battiti al minuto del titolo non c'è traccia, anzi. Un film che ho trovato “informativo” ma che umanamente e cinematograficamente non mi ha veicolato nulla.

 

 

 

 

 

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