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Corpo e anima

Regia di Ildiko Enyedi vedi scheda film

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La recensione su Corpo e anima

di Peppe Comune
8 stelle

Maria (Alexandra Borbély) lavora come addetta al controllo qualità in un mattatotio di Budapest. E’ ossessionata dalla precisione, ha una memoria fotografica ed è in possesso di un’intelligenza non comune. Tutte cose che gli procurano seri problemi relazionali. Svolge con eccessivo scrupolo il suo lavoro ed è derisa dagli operai per la stranezza dei suoi comportamenti. Endre (Géza Morcsànyi), invece, è il direttore finanziario del mattatoio, vive da solo da diversi anni ed ha un handicap fisico al braccio sinistro. Rimane subito incuriosito da Maria, da questa strana ragazza che se ne sta sempre da sola, e l’avvicina come per scoprire l’effetto che fa. Per il concatenarsi di eventi casuali, Maria e Endre scoprono di fare lo stesso sogno : quello di essere dei cervi che in mezza ad una foresta innevata si accarezzano dolcemente.  

 

scena

Corpo e anima (2017): scena

 

C’è un Cinema che continua imperterrito a seguire i suoi percorsi riflessivi senza preoccuparsi più di tanto di apparire attrattivo, preferendo un rigore anti spettacolare che non si trasforma (quasi) mai in mero esercizio di stile, ma in una poetica intimista che ha un modo tutto suo di ragionare sullo stato delle cose. Di questa particolare poetica cinematografica fa parte certamente “Corpo e anima” della regista ungherese Ildiko Enyedi, un film che tratteggia i connotati genetici di un amore per la vita rifuggendo da qualsiasi tranello “sentimentalista”, un amore che tenta di liberarsi dai vincoli del corpo e che si muove tra le insidie del quotidiano cercando di trasformare i sogni in realtà. Una cosa che emerge evidente dal film è l’urgenza di raccontare le storie di due vite aliene rispetto all’ordinario scorrere delle cose, vite che cercano nella solitudine il riparo migliore per le proprie insane debolezze e che giocano di sponda con gli insondabili arabeschi della mente per cercare quante più analogie possibili nell’incontro con l’altro. Quanto basta per farlo arrivare al cuore di quel mistero chiamato uomo, un mistero che oscilla tra le linee simmetriche tracciate da esistenze che vivono con geometrica precisione il loro stare al mondo, e i percorsi onirici che fanno incontrare dentro gli stessi spazi i desideri assopiti di due anime solinghe. Maria e Endre sono gli inconsapevoli complici di un sogno che per entrambi si trasforma nell’elegia di un qualcosa che si vuole esplorare fino in fondo, si trovano a condividere un sistema di segni che chiede di essere capito, interpretato, concretizzato. Il loro è un percorso cognitivo che avrebbe dello straordinario se non fosse che a produrlo sono due persone che sanno bene cosa significa avere un’anima pronta a liberarsi dalle strettoie del quotidiano. La notte è il loro orologio del cuore, e il sonno il momento esatto in cui le affinità elettive trovano il loro luogo d’elezione in un sogno carico di dolci presagi.È il caso che li fa conoscere nell’universo giornaliero del mattatoio, ma è nella notte profonda che avviene la trasfigurazione concreta del loro incontro, è nella culla rassicurante dei sogni inoffensivi che sembrano essersi sempre cercati e finalmente trovati, amanti sconosciuti che si avvicinano e si accarezzano con l’istintività propria degli animali, senza paure o reticenze, senza condizionamenti emotivi, senza pregiudizi. Maria ed Endre sono anime affini anche se hanno caratteri molto diversi, avvicinati dalla comune aspirazione di liberarsi dai propri corpi per dare libero sfogo alla temerarietà della loro anime sognanti. Entrambi svolgono con estrema meticolosità il lavoro che fanno, ma mentre Maria è soggiogata dalle sue paranoie personali, Endre le domina esercitando la sua autorità di capo responsabile. Tutti e due sono dei solitari con un evidente deficit sentimentale, ma se Maria sta conoscendo solo adesso la natura delle sue pulsioni sessuali, Endre le appaga in occasionali amplessi corporali. Sia Maria che Endre vogliono arrivare al cuore dei rispettivi sogni, e se la donna è finalmente pronta ad incamminarsi nel mondo degli adulti, l’uomo è disposto a rivedere tutte le sue certezze.

Ildiko Enyedi li fa essere delle entità speculari che riflettono sulla loro pelle il contrasto tra il trascorrere un’esistenza immobile e il sognare la concretezza di una carezza affettuosa, tra i corpi macellati degli animali e le anime ferite delle persone. Tra il giorno che consegna i suoi scenari consueti e la notte che prepara traiettorie imprevedibili. Emblematici sono i movimenti che caratterizzano i loro corpi, tanto contratti e artificiali durante il giorno, come limitati da spazi e tempi sempre uguali a se stessi, quanto leggiadri come proiettati in ogni momento verso la fuga durante la notte. Quando sono dei cervi che mettono in pratica quell’inconscio desiderio di non essere preda della stupida arroganza dei propri simili, liberi di sfuggire all’odore del sangue e di carne macellata che riempie le loro esistenze Di godersi la vita che può rinascere sfuggendo il senso di morte.

“Corpo e anima” è un film dallo stile minimalista che investe gran parte della messinscena nelle pulsioni sessuali tenute a freno, nei sospiri del cuore, nel mutismo delle parole, nell’attesa della notte. Muovendo la macchina da presa in una maniera lenta e programmata, riempendo di calma tragica ogni singola inquadratura. Il sangue esce a fiotti, così come l’amore che sgorga dai percorsi carsici delle fantasie più vere. Da quanto tempo non si sentiva dire al cinema “ti amo immensamente” ? Succede in questo film a suo modo atipico, che come nella migliore tradizione del cinema ungherese (da Miklos Jancso a Bela Tarr), sa far parlare il linguaggio silente dei corpi e usare la macchina da presa come puntuale scandaglio dell’animo umano. Ottimo film.

        

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